numero completo download pdf 396Kb - L'Asino vola
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Eppure, e valga qui come ipotesi interpretativa, non si<br />
può dimenticare che quella solitudine e quella vacuità sono<br />
espressioni di un patire autentico dell’attrice in un preciso<br />
momento della sua vita artistica: la Duse, che non smetterà<br />
mai di frequentare il sublime, attraverso il suo stile porta<br />
tuttavia in scena qui un lutto autentico -il suo- per un teatro<br />
che non c’è più, per un passato -il suo personale e quello del<br />
teatro d’attore dell’ottocento- che è in lei rimasto congelato<br />
e che il presente non può accogliere. In quella sua<br />
sottrazione che tende all’annullamento totale (“le labbra<br />
scolorano e non si vedono quasi più”), resta della bocca “un<br />
segno: una ferita”; quella ferita, che non è posa esteriore,<br />
avrebbe potuto anche suggerire qualcosa di diverso dalla<br />
serena realizzazione cosciente della propria arte, qualcosa<br />
che va a integrare la lotta inquieta con il mantello della<br />
Donna del mare: un travaglio e una solitudine autentiche<br />
che, pur fra tanti clamori della critica, preludono al suo<br />
ineluttabile e definitivo fallimento 95 .<br />
95 A questo punto può essere utile fare un accenno alla recita della Città<br />
morta che la Duse rappresenterà l’anno successivo e a cui d’Amico<br />
dedicherà solo poche e non particolarmente significative parole (s.i.a.,<br />
Eleonora Duse parte, in “L’idea nazionale”, 12 dicembre 1922). Come<br />
testimonia Renato Simoni (r.s., Eleonora Duse nella “Città morta”, in<br />
“Corriere della sera”, 14 dicembre 1922, ora anche in R. Simoni,<br />
Trent’anni di cronaca drammatica, cit., pp.622-623), all’interno della<br />
tragedia dannunziana “scarnificata e denudata” dei suoi veli scintillanti,<br />
la Duse raggiunge forse l’apice della sua recitazione “segreta, intima,<br />
quasi essenziale”, accentuando ma anche approfondendo la sua poetica<br />
della sottrazione e dell’ombra: “Dell’interpretazione che Eleonora Duse<br />
diede allora della Città morta, m’è parso di non ritrovare quasi più nulla<br />
[…]. L’Anna di quel tempo era più estatica, più religiosamente fuori<br />
della vita, dell’Anna che ci ha dato ier sera Eleonora Duse. Ieri la sua<br />
interpretazione toccò il sommo della dolcezza, di una povera, stanca,<br />
affannata dolcezza umana […]. Ci sono gesti delle braccia e delle mani<br />
di Eleonora Duse che sembrano stendere un’ombra intorno a tutta la sua<br />
persona; gesti che sono musica anche essi”.