Inferno - Letteratura Italiana
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ia umana: la mitica e felice età dell’oro, poi l’età<br />
dell’argento, quindi del bronzo e infine del ferro. Il<br />
presente, che costituisce l’espressione estrema della<br />
decadenza, è minato da un pericolo incombente, come<br />
la statua minaccia di caduta a causa di una fessura<br />
che goccia lacrime.<br />
1.1. Dante inserisce la storia come decadenza in una<br />
visione provvidenziale della storia: la storia umana ha<br />
un inizio e una fine. Il presente è il momento di massima<br />
decadenza. Ma secondo le profezie sta iniziando<br />
l’età dello Spirito Santo, cioè del rinnovamento spirituale.<br />
Ciò emerge sia dalla cultura profetica del tempo,<br />
che egli condivide, sia dalla profezia del Veltro<br />
(If I, 100-111) e dalla profezia del DXV, il DUX, il<br />
condottiero (Pg XXX, 43-45), con le quali egli<br />
s’inserisce in questa cultura della profezia. In Pd VI,<br />
1-98, il poeta tratteggia la storia umana come sotto la<br />
supervisione continua della Provvidenza divina.<br />
1.2. Le società tradizionali, strutturalmente statiche a<br />
causa di una economia a bassa produttività, professavano<br />
due visioni della storia: a) la storia come decadenza<br />
da uno stato di felicità originaria; b) la storia<br />
come sviluppo ciclico secondo le stagioni dell’anno.<br />
La storia come progresso risale soltanto all’Illuminismo<br />
settecentesco (1730-90) ed è legata alla rivoluzione<br />
agraria che incrementa la produzione. Già<br />
nel Seicento però G. Vico (1668-1744) aveva proposto<br />
una visione della storia come ciclica e progressiva.<br />
Nell’Ottocento la visione illuministica assume diverse<br />
varianti: quella idealistica di G.W. Hegel<br />
(1770-1831) (la storia come dispiegamento e attuazione<br />
dialettica dello Spirito Assoluto), quella materialistica<br />
di K. Marx (1818-1883) (la storia come storia<br />
di lotta di classe, fino alla rivoluzione proletaria,<br />
alla dittatura del proletariato e quindi alla società<br />
senza classi) e quella evoluzionistica di Ch. Darwin<br />
(1809-1882) o di H. Spencer (1820-1903) (la storia<br />
come affermazione dell’organismo o della classe sociale<br />
più adatta). Ben inteso, tutte queste visioni della<br />
storia riguardano soltanto il pensiero filosofico e<br />
scientifico occidentale.<br />
2. La parte centrale del canto è costituita dalla descrizione<br />
della statua del gran veglio, che indica com’è il<br />
presente rispetto alla storia passata: per il poeta come<br />
per i suoi contemporanei il tempo non è quantitativo<br />
(un secondo è uguale al precedente e al successivo),<br />
ma qualitativo: il presente è un momento dell’eternità<br />
e acquista senso in relazione al punto in cui è inserito<br />
nella storia universale. Il passato è l’età felice<br />
dell’innocenza, il presente è il momento della maggiore<br />
decadenza. Sia la Bibbia sia opere di altri popoli<br />
parlano del paradiso terrestre, dove l’uomo viveva<br />
felice ed immortale, e del successivo abbandono di<br />
questo luogo di felicità in séguito ad un atto di disobbedienza<br />
verso Dio. L’uomo così conosce la fatica,<br />
il dolore, la morte. Tuttavia la disobbedienza come<br />
l’empietà sembrano inevitabili: prima di Adamo e<br />
di Eva – peraltro tentati dal serpente – si ribellano a<br />
Dio Lucifero e gli altri angeli. E lo fanno per decisione<br />
propria, non per suggerimento del serpente,<br />
cioè del Maligno, che non c’era ancora.<br />
Divina commedia. <strong>Inferno</strong>, a cura di P. Genesini 57<br />
3. Capanèo è soltanto un esempio di disobbedienza<br />
agli dei, che lo hanno giustamente punito per la sua<br />
empietà. Neanche un gigante come lui può sfidare<br />
impunemente la divinità. Non c’è differenza se la<br />
disobbedienza o l’offesa riguarda il Dio cristiano o<br />
una divinità pagana: si tratta in ogni caso di disobbedienza,<br />
di empietà, di rifiuto di riconoscere che gli<br />
dei sono superiori agli uomini e vanno obbediti. Capanèo<br />
è impius, cioè in + pius, non pio, non religioso,<br />
rifiuta di sottomettersi a Dio. Una colpa gravissima<br />
per la società tradizionale, che non conosceva<br />
la scienza e la tecnica e che perciò era fragile e indifesa<br />
nei confronti della natura e che di conseguenza<br />
chiedeva costantemente aiuto alla divinità per sopravvivere.<br />
La Bibbia dice più volte che «initium<br />
sapientiae timor Domini» («L’inizio della sapienza è<br />
il timore di Dio»). L’uomo tende a dimenticarlo, a<br />
usare la sua ragione e quindi a errare.<br />
4. L’incontro dei due poeti con Capanèo è veloce e<br />
non coinvolgente. Il poeta vuole che il lettore riversi<br />
la sua attenzione sulla storia favolosa del gran veglio<br />
di Creta e sulla storia di decadenza che coinvolge<br />
l’intera umanità come il presente. Il poeta ricorre a<br />
questa strategia in molti altri canti. Ad esempio in If<br />
XV, 49-54, dà una risposta rapida a Brunetto latini,<br />
così non toglie attenzione agli argomenti più importanti<br />
che si prepara a toccare.<br />
5. Il canto è interamente occupato da Virgilio. È la<br />
prima volta che succede. Il poeta latino rimprovera<br />
Capanèo con parole dure e poi dice a Dante chi è.<br />
Quindi racconta la storia favolosa del gran veglio di<br />
Creta e descrive la geografia dei fiumi infernali. Infine<br />
decide che è giunto il momento di allontanarsi<br />
dal bosco dei suicidi. Virgilio è il protagonista per<br />
diversi motivi: a) è simbolo della ragione umana; e<br />
b) la ragione umana indica che l’uomo deve rispettare<br />
la volontà degli dei. L’empietà è quindi un atteggiamento<br />
di violenza, di superbia, di tracotanza, insomma<br />
un atteggiamento irrazionale. Da qui deriva<br />
la durezza con cui il poeta latino tratta il gigante.<br />
6. Il tema dei limiti della ragione umana è uno dei<br />
fili conduttori della Divina commedia. In Pg III, 37-<br />
39, Virgilio dice: «O genti umane, accontentatevi di<br />
sapere che le cose stanno così, perché, se aveste potuto<br />
veder tutto, non sarebbe stato necessario che<br />
Maria partorisse Cristo».<br />
7. Nel cerchio degli eretici Farinata degli Uberti<br />
«s’ergea col petto e con la fronte Com’avesse<br />
l’inferno in gran dispitto» (If X, 35-36). Invece Capanèo<br />
«non par che curi Lo ‘ncendio e giace dispettoso<br />
e torto, Sì che la pioggia [di fuoco] non par che<br />
‘l maturi» (vv. 46-48). Farinata è l’uomo politico<br />
che non dimentica la politica neanche all’inferno.<br />
Capanèo è il bestemmiatore che non vuole arrendersi<br />
all’evidenza: la divinità è più forte di lui e lo ha punito.<br />
Egli è anche vanesio: si preoccupa di mostrare<br />
al poeta che continua a disprezzare Giove. In realtà<br />
egli è uno sconfitto, proprio perché non vuole riconoscere<br />
la sua sconfitta. Virgilio interviene a proposito:<br />
soltanto la sua rabbia è la pena più adatta per la<br />
superbia e l’arroganza del dannato (vv. 61-66). Un<br />
altro esempio di superbia punita è costituito da Luci-