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Inferno - Letteratura Italiana

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more alle donne. Nelle società tradizionali i valori<br />

erano chiaramente definiti e chi non li faceva propri<br />

era emarginato. E Firenze è talmente preoccupata del<br />

diffondersi della omosessualità, che nel Duecento<br />

emana leggi per fermare il fenomeno.<br />

4. Il poeta distingue una paternità biologica da una<br />

paternità spirituale: non cita mai i suoi genitori (cita<br />

però i suoi antenati), cita invece Brunetto Latini, che<br />

ha costumi poco raccomandabili, ma che è stato<br />

senz’altro un buon maestro, perché gli ha insegnato<br />

come l’uomo si eterna con la fama. Lo stilnovismo,<br />

fin da Guido Guinizelli che ne scrive la canzonemanifesto<br />

(1274), dà più importanza alla vita spirituale<br />

dell’individuo che alla nobiltà di sangue: la prima<br />

è il risultato dell’impegno personale e degli sforzi<br />

dell’individuo, la seconda è soltanto una questione di<br />

eredità di sangue, di cui non si ha alcun merito.<br />

5. La paternità naturale si realizza nei figli. La paternità<br />

spirituale si realizza nelle proprie opere (il Tesoretto)<br />

o nell’insegnamento che si trasferisce ai discepoli.<br />

Ambedue le forme di paternità permettono alla<br />

famiglia o all’individuo di sopravvivere a se stesso e<br />

di perpetuarsi nel tempo, insomma di acquisire<br />

un’immortalità che non è diretta, ma si realizza in<br />

una numerosa discendenza e nella fama presso i posteri.<br />

5.1. In Pd VIII, 85-148, il poeta affronta con impegno<br />

il problema dell’ereditarietà dei caratteri: Dio ha<br />

distribuito sulla terra i caratteri che servono ad una<br />

società giusta e funzionante; l’uomo però costringe a<br />

diventare sacerdote chi è nato per impugnare la spada,<br />

perciò la società umana è sempre in preda ai conflitti<br />

e al disordine.<br />

6. Dante riprende il problema della fama in Pg XI,<br />

82-117, quando incontra il miniaturista Oderisi da<br />

Gubbio, poi in Pd XVII, 106-142, quando incontra il<br />

trisavolo Cacciaguida. Oderisi dice che in vita voleva<br />

primeggiare nell’arte della miniatura, ma che ora vede<br />

che la fama è come un battito di ciglia rispetto<br />

all’eternità. Alla domanda del poeta se, ritornato sulla<br />

terra, dovrà dire tutto ciò che ha visto (ma allora le<br />

sue parole saranno a molti indigeste) o se dovrà tacere<br />

(ma allora non acquisterà fama presso i posteri),<br />

Cacciaguida risponde che dovrà dire tutto ciò che ha<br />

visto, perché questa è la missione che gli è stata assegnata.<br />

Dante quindi ne dà un giudizio articolato: da<br />

un punto di vista terreno, è un valore da raggiungere;<br />

da un punto di vista ultraterreno, è come un soffio di<br />

vento, che ora spira di qui, ora di lì; e che muta nome<br />

perché muta lato da cui soffia.<br />

6.1. Il poeta aveva affrontato il problema della fama<br />

fin da If III, 31-69, con gli ignavi, coloro che non avevano<br />

fatto nessuna azione né onorevole né disonorevole,<br />

che meritasse di farli ricordare dopo la morte.<br />

La risposta di Virgilio era stata durissima: «Non ragioniam<br />

di lor, ma guarda e passa» (If III, 51). Nelle<br />

società tradizionali uno dei valori più sentiti era quello<br />

di farsi ricordare dai figli e dai nipoti, in nome di<br />

una corrispondenza di affetti e di ricordi che coinvolgeva<br />

i vivi verso i morti e i vivi verso i loro discendenti.<br />

La vita e le società tradizionali riservavano più<br />

spazio, più tempo e più ricordi al passato e al futuro.<br />

Divina commedia. <strong>Inferno</strong>, a cura di P. Genesini 62<br />

Le società post-industriali moderne si proiettano unicamente<br />

nel presente e nell’immediato futuro. Non<br />

lo fanno per cattiva volontà o per una scelta consapevole,<br />

ma perché non hanno tempo per comportarsi<br />

in altro modo.<br />

7. Dante aveva affrontato in precedenza il problema<br />

della Fortuna, cioè della Provvidenza cristiana (If<br />

VII, 73-96). A Virgilio aveva affidato il compito di<br />

darne la formulazione più estesa del poema: 73.<br />

«Colui (=Dio) il cui sapere trascende tutto, fece i<br />

cieli e diede loro l’intelligenza angelica che li conduce,<br />

così che ogni intelligenza trasmette la luce al<br />

cielo specifico, 76. distribuendo in modo equo la luce.<br />

Similmente ai beni di questo mondo prepose<br />

un’amministratrice e una guida generale (=la Fortuna),<br />

79. che permutasse a tempo debito i beni vani<br />

(=terreni) da un popolo all’altro e da una famiglia<br />

all’altra, oltre le capacità di opporre resistenza della<br />

ragione umana. 82. Per questo motivo un popolo<br />

domina e un altro è dominato, seguendo il giudizio<br />

di costei, che è nascosto come il serpente nell’erba.<br />

85. Il vostro sapere non può contrastarla: essa provvede<br />

[ai cambiamenti], giudica [il momento opportuno]<br />

e persegue i suoi fini come le altre intelligenze<br />

[perseguono] i loro. 88. Le sue permutazioni non<br />

conoscono sosta: la necessità [di trasferire i beni] la<br />

fa essere veloce. Perciò spesso avviene che qualcuno<br />

cambi completamente la sua condizione [sociale].<br />

91. Questa è colei che è tanto ingiuriata anche da coloro<br />

che dovrebbero lodarla. E [invece] a torto la ricoprono<br />

di biasimi e le attribuiscono una cattiva fama.<br />

94. Ma essa continua a rimanere beata e non ode<br />

queste [denigrazioni]. Con le altre intelligenze angeliche<br />

muove lietamente la sua sfera e gode per la sua<br />

beatitudine». In séguito la storia dell’impero, tratteggiata<br />

dall’imperatore Giustiniano, mostra come la<br />

Provvidenza abbia usato i grandi personaggi come<br />

strumenti per i suoi fini (Pd VI, 1-96). Il poeta si dice<br />

pronto ai colpi della Fortuna avversa (vv. 91-96),<br />

ma le invettive di tutta l’opera mostrano che non lo<br />

ha fatto volentieri.<br />

7.1. Brunetto Latini parla di fortuna, Dante invece<br />

parla di Fortuna. La differenza è notevole: il maestro<br />

ha una visione conforme agli antichi e per così<br />

dire laica della fortuna; il poeta ha una visione cristiana<br />

della stessa: la Fortuna è “ministra di Dio” ed<br />

esegue i disegni di Dio.<br />

7.2. Dante dice: «La fortuna dia pure i colpi a me,<br />

come il villano dà i colpi alle zolle. Ma io sarò indifferente<br />

ad essi, mi preoccuperò soltanto della mia<br />

rettitudine morale». Sono buoni propositi. E, quando<br />

li dimentica, se li fa ripetere da Virgilio: «Vien<br />

dietro a me, e lascia dir le genti: Sta come torre<br />

ferma, che non crolla Già mai la cima per soffiar di<br />

venti» (Pg V, 13-15).<br />

8. Il canto ha un inizio piano, continua con la sorpresa<br />

dell’incontro del poeta con il maestro. Prosegue<br />

in tono tranquillo (il dialogo tra il poeta ed il maestro).<br />

Quindi si alza di tono, prima con l’invettiva di<br />

Brunetto contro le bestie discese da Fiesole, cioè i<br />

fiorentini, poi con la risposta tutta infuocata di Dante.<br />

Quindi c’è un abbassamento di tensione (il poeta

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