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Inferno - Letteratura Italiana

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(1285). Il frate è ancora vivo quando il poeta immagina<br />

di fare il viaggio nell’oltretomba.<br />

Branca Doria appartiene a una famiglia ghibellina<br />

di Genova ed è genero di Michele Zanche. Per impadronirsi<br />

di alcune terre, invita il suocero ad un banchetto<br />

e lo uccide con l’aiuto di un nipote o di un cugino<br />

(1275 o 1290).<br />

Michele Zanche è genero di Branca Dora, che lo uccide<br />

con l’aiuto di un nipote o di un cugino (1275 o<br />

1290). Ha fama di barattiere.<br />

Malebranche indica collettivamente i diavoli che<br />

nell’ottavo cerchio (quinta bolgia) stanno a guardia<br />

dei barattieri. Sono provvisti di unghioni e di zanne,<br />

con cui straziano i dannati. Usano anche lunghi uncini,<br />

per spingere i dannati sotto la pece.<br />

La Tolomea è una delle quattro zone in cui si divide<br />

il nono cerchio: Caina (traditori dei parenti), Antenora<br />

(traditori della patria), Tolomea (traditori degli<br />

ospiti) e Giudecca (traditori dei benefattori). Il nome<br />

deriva da Tolomeo, un personaggio biblico che invita<br />

ad un grande pranzo e poi uccide a tradimento Simone<br />

e i suoi due figli, per diventare signore della<br />

regione di Gerico (Mac 16, 11-16).<br />

Àtropo è una delle tre Moire. Nella mitologia greca<br />

tagliava il filo della vita umana. Le altre due sono<br />

Làchesi e Cloto. Esse rispettivamente filavano e tessevano<br />

il filo. Neanche Zeus, il padre e il più potente<br />

degli dei, poteva sottrarsi al volere delle Moire.<br />

Commento<br />

1. L’incontro di Dante con il conte Ugolino della<br />

Gherardesca inizia quasi alla fine del canto XXXII e<br />

si conclude a metà del canto XXXIII: il poeta sperimenta<br />

anche questa possibilità narrativa. La parte<br />

principale e più drammatica è proprio quella finale,<br />

in cui il protagonista racconta la sua storia. In genere<br />

la parte più importante di un canto è posta al centro o<br />

alla fine; in questo caso essa coincide con la prima<br />

metà del canto successivo (vv. 1-90).<br />

1.2. Il canto è particolarmente intenso e drammatico<br />

perché incomincia sùbito in medias res e perché è<br />

angosciosa la scena che si presenta agli occhi del poeta<br />

e del lettore: il dannato sta guastando la testa del<br />

vescovo e si pulisce educatamente la bocca con i capelli<br />

di questi per raccontare la sua tragica morte.<br />

2. Il canto ha una struttura simmetrica: la storia del<br />

conte e l’invettiva del poeta contro Pisa (vv. 1-90); la<br />

storia di frate Alberigo, traditore degli ospiti, e<br />

l’invettiva del poeta contro Genova (vv. 91-157). La<br />

simmetria non è totale, altrimenti sarebbe stata statica:<br />

la storia del conte Ugolino è drammatica ed è ascoltata<br />

dal poeta; la storia di frate Alberigo si presenta<br />

come un fatto di normale violenza quotidiana e<br />

vede il poeta attivo (interroga il dannato e si rifiuta di<br />

mantenere la promessa di togliergli le lacrime ghiacciate<br />

dagli occhi). Inoltre il conte è concentrato tutto<br />

sulla sua storia e sul suo duplice dramma personale e<br />

familiare, che coinvolge lui, i due figli e i due nipoti;<br />

il frate invece racconta la sua storia ed anche quella<br />

del suo vicino di pena, Branca Doria.<br />

3. «Poscia, più che ‘l dolor, poté ‘l digiuno» è un<br />

verso che dice e non dice. Significa: «Più che il do-<br />

Divina commedia. <strong>Inferno</strong>, a cura di P. Genesini 96<br />

lore [che è psicologico ed affettivo], poté uccidermi<br />

il digiuno [che è materiale]» oppure significa: «Più<br />

che il dolore [per la morte dei miei due figli e dei<br />

miei due nipoti], ebbe potere su di me il digiuno,<br />

[tanto da spingermi a nutrirmi delle loro carni]»? Il<br />

conte si morde le mani, e i suoi figli interpretano che<br />

lo fa non per il dolore della situazione, ma perché,<br />

come loro, ha fame, perciò gli offrono le loro carni,<br />

che egli aveva generato. Anche la punizione che il<br />

conte infligge al vescovo è ambigua: divora il capo<br />

del suo nemico, perché questi lo ha fatto morire di<br />

fame con i figli ed i nipoti oppure perché lo deve<br />

punire allo stesso modo, per averlo indotto a nutrirsi<br />

dei figli? Il dramma del conte in parte è svelato da<br />

Dante (il conte dice: «Tu non puoi sapere come io<br />

morii...»), in parte resta ancora avvolto nel mistero.<br />

Il conte non avrebbe mai rivelato a nessuno i suoi ultimi<br />

istanti di vita ed avrebbe mantenuto il segreto<br />

per sempre, in quanto essi lo coinvolgevano in modo<br />

radicale, come individuo che voleva continuare a vivere<br />

e come padre (o meglio come capostipite) di<br />

una discendenza che lo avrebbe fatto sopravvivere<br />

nel tempo. L’antropofagia si sarebbe rivolta sia contro<br />

la sua discendenza, sia soprattutto contro se stesso,<br />

poiché si stava togliendo la possibilità di superare<br />

la morte continuando a vivere nei figli. Il dramma<br />

avviene sia a livello reale sia a livello simbolico. Il<br />

figlio si offre come nutrimento al padre, mentre è<br />

ancora in vita. Dopo morto poteva divenire effettivo<br />

nutrimento per il padre.<br />

4. Il dramma del conte però si propone anche a livello<br />

simbolico: il figlio, anzi i figli, morti o vivi che<br />

fossero, sono la discendenza o il simbolo della discendenza<br />

del conte. Nutrendosi di loro, il conte si<br />

toglieva anche a livello simbolico la possibilità della<br />

discendenza. Per di più il conte neanche nutrendosi<br />

della loro carne aveva la possibilità di sfuggire al suo<br />

destino di morte e di perpetuare in altro modo la sua<br />

discendenza nel tempo.<br />

5. Oggi è molto difficile capire questa problematica,<br />

poiché il passato (gli antenati, la famiglia) ed il futuro<br />

(i figli, i nipoti) hanno perso importanza, e si vive<br />

concentrati su se stessi, nel presente, in un eterno<br />

presente. Nel Medio Evo invece l’individuo, per vivere,<br />

aveva bisogno della famiglia (gli antenati, i genitori,<br />

i figli), mentre oggi non ha bisogno né dei genitori<br />

né dei figli. Può contare, anzi deve contare, unicamente<br />

su se stesso: i genitori sono un peso economico<br />

ed hanno un’esperienza invecchiata e inutilizzabile;<br />

i figli non sono la sicurezza ed il sostentamento<br />

per la vecchiaia, ma un incredibile costo economico<br />

che dura finché, verso i 30 anni, non diventano<br />

autosufficienti, e che non ripaga affatto con i<br />

vantaggi, cioè con gli affetti e con la continuazione<br />

della propria discendenza. Con la sua ferocia il<br />

dramma del conte Ugolino riesce a coinvolgere radicalmente<br />

il lettore (sia di ieri sia di oggi), che immediatamente<br />

si chiede se il conte Ugolino ha divorato<br />

o meno i corpi dei suoi figli e dei suoi nipoti<br />

(all’orrore dell’antropofagia si aggiunge quindi anche<br />

quello della necrofagia e della tecnofagia). Tanti<br />

crimini in uno…

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