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Inferno - Letteratura Italiana

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nato: ha fatto una promessa che non poteva mantenere,<br />

quindi una colpa lieve; invece è stato Guido a capire<br />

male le parole). Ed egli, l’uomo famoso per la<br />

sua astuzia, cade fidandosi delle parole del papa, parole<br />

che invece doveva attentamente esaminare. Quale<br />

maggiore vergogna per un uomo astuto che ingannarsi<br />

con le sue stesse mani!<br />

6. In vita con Bonifacio VIII ed ora con Dante Guido<br />

fa lo stesso errore: si fida della ragione come strumento<br />

di salvezza. In vita la usa per tessere i suoi inganni.<br />

E vince. In vecchiaia pianifica la salvezza. E<br />

quasi ha successo. Con il papa si fida del ragionamento<br />

del papa. E perde. Parlando con il poeta si fida<br />

di un ragionamento che egli stesso fa: nessuno è<br />

mai uscito dall’inferno; neanche il poeta può uscire;<br />

dunque posso raccontare la mia storia senza temere<br />

che si risappia sulla terra. E si ricopre ancora di vergogna.<br />

Non ha controllato la validità del ragionamento<br />

del papa, né di quello che fa al poeta. E il secondo<br />

errore è uguale al primo. Né si accorge della<br />

sua fallacia, come non si era accorto della fallacia del<br />

primo. Ma perseverare nello stesso errore è diabolico...<br />

7. Dante non condanna il dannato (che, come lui, è<br />

partigiano dell’imperatore), poiché questi lo fa già da<br />

sé (un’ulteriore condanna sarebbe stata inutile e da<br />

un punto di vista narrativo inefficace). La vergogna<br />

di dire il suo nome e il modo in cui se ne va, ancora<br />

scottato dall’inganno, lo mostrano chiaramente. Il<br />

poeta invece «usa» Guido: lo vuol mettere a confronto<br />

con il suo mortale nemico, Bonifacio VIII. E, facendolo<br />

ingannare dal papa, ingigantisce ancor più la<br />

grandezza e la malvagità di quest’ultimo.<br />

8. Dante non dimentica la disavventura di Guido, che<br />

perde l’anima che era sicuro di salvare. In Pg V, 85-<br />

129, egli incontra Bonconte da Montefeltro, figlio di<br />

Guido, che ha peccato per tutta la vita e si è pentito<br />

proprio un istante prima di morire, raccomandandosi<br />

alla Madonna. E salva l’anima. In tal modo il poeta<br />

allarga i collegamenti tra i vari canti e sottolinea che,<br />

se c’è un pentimento sincero, Dio ascolta sempre la<br />

preghiera di chi si rivolge a Lui. Anche in questo caso<br />

intervengono il protettore (la Madonna) e l’avversario<br />

(il diavolo) di Bonconte. Il diavolo scornato,<br />

per vendicarsi di aver perso la sua anima, suscita un<br />

violentissimo temporale che trascina nell’Arno il<br />

corpo di Bonconte, che non fu più ritrovato. Nell’immaginario<br />

collettivo medioevale angeli, santi e demoni<br />

sono costantemente presenti nella vita umana e<br />

fanno la spola tra la terra ed il cielo.<br />

8.1. L’episodio di Guido e poi l’episodio del figlio<br />

Bonconte rimandano a un motivo medioevale piuttosto<br />

diffuso, quello di angeli e diavoli che si giocano<br />

l’anima del credente e che, per conquistarla per sé,<br />

lottano sia nell’al di qua, sia nell’al di là, finché non<br />

è definitivamente assegnata. Il poeta riprende il motivo,<br />

ma lo arricchisce: le due anime sono padre e<br />

figlio. Ciò coinvolge indirettamente anche un altro<br />

problema, particolarmente sentito e discusso al suo<br />

tempo: chi va in paradiso può essere veramente felice<br />

se un suo stretto congiunto (padre, madre, marito,<br />

moglie, figlio ecc.) è finito all’inferno? Con questo<br />

Divina commedia. <strong>Inferno</strong>, a cura di P. Genesini 86<br />

problema implicito, ma vivo nella mente del lettore,<br />

il poeta drammatizza ulteriormente i due episodi. E<br />

mettendoli in canti lontani costringe poi il lettore a<br />

fissarli più efficacemente nella memoria.<br />

8.2. Il fatto che in Pg V compaia Bonconte, figlio di<br />

Guido, costringe a leggere i due canti insieme. Questa<br />

strategia è un asse portante dell’opera: i canti VI<br />

delle tre cantiche si richiamano e si completano ecc. I<br />

due o tre punti di vista (politico, religioso, personale)<br />

con cui il poeta valuta i dannati si richiamano e si<br />

completano. La realtà è sempre complessa, perciò<br />

servono più punti di vista, tra loro complementari,<br />

per comprenderla. Ma If XXVII rimanda immediatamente<br />

anche a If XXVI, il canto di Ulisse, che presenta<br />

due personaggi dediti all’inganno che tuttavia<br />

hanno anche altri valori, completamente diversi. I<br />

canti If I (Virgilio, padre spirituale di Dante), X (Farinata<br />

degli Uberti e Cavalcante de’ Cavalcanti), XV<br />

(Brunetto Latini, padre spirituale di Dante), XXVI<br />

(Ulisse che non ritorna a casa) e If XXVIII-Pg V<br />

(Guido da Montefeltro e Bonconte da Montefeltro)<br />

si richiamano perché trattano diversi modi di vivere<br />

la paternità. Uno stesso canto si abbina perciò ad un<br />

altro canto per un motivo, ad altri canti per altri motivi.<br />

La ragnatela che avviluppa il poema si fa sempre<br />

più articolata e complessa.<br />

9. Il diavolo logico rimanda all’enorme sviluppo della<br />

logica nelle università del sec. XIII, ma si rifà anche<br />

ad una interpretazione comica di ciò che spaventa<br />

l’uomo medioevale e a cui questi si avvicina mediante<br />

il riso. Il demonio quindi diventa un simpatico<br />

buontempone, che in molti racconti fa sodalizio e gira<br />

il mondo in incognito con lo stesso Dio. E spesso<br />

rimprovera Dio di non aver avuto una buona idea a<br />

creare l’uomo, che è stupido e corrotto. Dio a malincuore<br />

lo riconosce.<br />

10. Il papa Celestino V è innominato (If III), il suicida<br />

fiorentino resta anonimo, (If XIII), qui il dannato<br />

non vuole rivelare il suo nome ma lo rivela. In séguito<br />

lo stesso poeta tace il suo nome (Pg XIII, 130-<br />

138). Dante continua le variazioni sul tema.<br />

11. L’inizio del canto si riallaccia al canto precedente;<br />

la fine al canto seguente. Il poeta riprende un artificio<br />

retorico già sperimentato in If XIV, 1-3, dove<br />

raccoglie le fronde strappate e le pone alla base del<br />

tronco in cui era incarcerato l’anonimo fiorentino<br />

suicida. Questa tecnica dell’aggancio tra un canto e<br />

il precedente viene applicata per la prima volta in If<br />

VI, 1-4, quando Dante ritorna in sé, dopo essere svenuto<br />

davanti alla tragica storia d’amore di Francesca<br />

da Polenta e Paolo Malatesta.<br />

12. L’inganno e la beffa, di cui cade vittima Guido,<br />

possono essere confrontati con l’inganno e la beffa<br />

che ser Ciappelletto gioca al santo frate – il più santo<br />

della Borgogna –, che ha passato la vita sui libri e<br />

che crede a tutto ciò che vuole credere (Decameron,<br />

I, 1). Peraltro Boccaccio, che vuole intrattenere il suo<br />

pubblico nobile e borghese, dedica ben tre giornate<br />

alle novelle incentrate sulla beffa: la settima, l’ottava<br />

e la nona. La presenza così massiccia di inganni e di<br />

beffe ha una sua giustificazione: le società tradizionali,<br />

cioè agricole, godevano di molto tempo libero,

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