Inferno - Letteratura Italiana
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fine. Il racconto è un lungo monologo, che i due poeti<br />
ascoltano senza intervenire e che sembra narrarsi da<br />
se stesso. Il monologo acquista l’aspetto di discorso<br />
soltanto nel punto in cui l’eroe si rivolge con l’orazion<br />
picciola ai suoi compagni, che rimangono silenziosi<br />
e che tuttavia sono spinti a fare dei remi ali al<br />
folle volo.<br />
10. L’affiatamento tra Ulisse e i suoi compagni di<br />
avventura e di tanti pericoli è tale, che egli li chiama<br />
fratelli. Eppure, anche se li ha alzati all’altezza dei<br />
suoi pensieri, Ulisse è e resta il capo; e per sé come<br />
per loro impersona la figura del capo. Essi ormai si<br />
identificano in lui. Egli però è un capo che chiede<br />
con una sana retorica l’assenso dei suoi collaboratori<br />
e si preoccupa anche di infiammarli a compiere il folle<br />
volo che li porta alla morte (Ciò però era imprevedibile).<br />
Essi accettano sùbito, perché hanno una fiducia<br />
totale in lui, nelle sue capacità, nella sua intelligenza<br />
e nella sua astuzia. L’entusiasmo che infonde è<br />
tale che i remi della nave diventano ali. D’altra parte,<br />
com’è possibile resistere al fascino di parole come:<br />
«Fatti non foste a viver come bruti, Ma per seguir<br />
virtute e canoscenza»? Ulisse conosce l’animo umano,<br />
conosce i loro cuori. Ed usa un linguaggio semplice,<br />
persuasivo ed efficace, che li induce immediatamente<br />
all’azione.<br />
11. L’eroe omerico non inganna i suoi compagni, li<br />
persuade. Non li inganna, perché non sono suoi avversari.<br />
Essi lo conoscono da sempre, hanno passato<br />
vent’anni insieme, e s’identificano in lui e nelle sue<br />
capacità. Per di più erano davanti alle colonne d’Ercole<br />
e capivano, al di là delle parole, ciò che egli stava<br />
loro proponendo. D’altra parte non avrebbe nemmeno<br />
bisogno di persuaderli: essi l’avrebbero seguìto<br />
in ogni caso perché è un capo straordinario, e dovevano<br />
in ogni caso seguirlo perché erano suoi sudditi.<br />
Qual è il senso dell’orazion picciola allora? Ulisse,<br />
da buon stratega, conosce l’importanza di una buona<br />
comunicazione con i suoi collaboratori; conosce anche<br />
l’importanza e l’efficacia delle parole, per incitare<br />
ed ottenere risultati migliori; infine sottolinea con<br />
le parole il carattere straordinario ed eccezionale<br />
dell’avventura che stanno iniziando: nessuno mai aveva<br />
oltrepassato le colonne d’Ercole né aveva sfidato<br />
l’ignoto, per visitare il mondo sanza gente.<br />
12. Il linguaggio persuasivo, di cui si occupa la retorica,<br />
non ha niente a che fare con il linguaggio scientifico,<br />
i cui criteri sono la verità o la falsità di una<br />
proposizione. Ha a che fare con l’ampia zona di tutto<br />
ciò che non è né vero né falso e che riguarda le reazioni<br />
emotive o le azioni. Ha a che fare insomma con<br />
la ragion pratica, non con la ragion teoretica. Esso<br />
non descrive la realtà, come fa il linguaggio scientifico;<br />
la valorizza, la plasma, la trasforma. Le parole di<br />
Ulisse valorizzano e danno il giusto rilievo all’impresa<br />
che si sta iniziando. Senza l’orazion picciola<br />
l’impresa sarebbe stata meno importante: il linguaggio<br />
trasforma la realtà fisica nella realtà simbolica e<br />
nei valori dell’intelletto.<br />
13. Ulisse è il simbolo dell’umanità pagana che non<br />
si può salvare nemmeno se animata dai più nobili<br />
propositi e dagli ideali più elevati: la ricerca della co-<br />
Divina commedia. <strong>Inferno</strong>, a cura di P. Genesini 79<br />
noscenza. L’umanità pagana per Dante è intrinsecamente<br />
manchevole, perché non conosce il Vangelo<br />
né il battesimo (è nata e vissuta prima della venuta di<br />
Gesù Cristo), non conosce la salvezza né la grazia,<br />
non conosce la fede né fa parte della Chiesa. I suoi<br />
tentativi, come quello di Ulisse, sono perciò destinati<br />
all’insuccesso. Per questo motivo gli spiriti magni<br />
dell’antichità – Socrate, Platone, Aristotele, Euclide,<br />
Tolomeo; Omero, Orazio, Ovidio, Lucano e lo stesso<br />
Virgilio – si trovano confinati nel limbo, un settore<br />
particolare dell’inferno, e provano un’infinita malinconia<br />
e un desiderio insoddisfatto di vedere Dio e<br />
di partecipare all’essenza divina (If IV).<br />
14. Ulisse è condannato all’inferno come fraudolento.<br />
L’astuzia è soltanto un aspetto – quello meno encomiabile<br />
– del versatile ingegno dell’eroe omerico.<br />
Ma nessuna versatilità umana può essere capace di<br />
superare i limiti della ragione e di portare l’uomo a<br />
Dio. Dante, per bocca di Virgilio, lo ricorda anche in<br />
séguito: «Matto è chi spera che la nostra ragione<br />
possa percorrere la via infinita che tiene [Dio, che è]<br />
una sostanza in tre persone. State contente, o genti<br />
umane, che le cose stanno così, perché, se aveste potuto<br />
vedere tutto, non era necessario che Maria mettesse<br />
al mondo Cristo» (Pg III, 34-39).<br />
15. Dante si comporta con Ulisse come precedentemente<br />
si era comportato con Ciacco, Farinata degli<br />
Uberti, Pier delle Vigne, Brunetto Latini ecc.: distingue<br />
il peccatore dal peccato. Brunetto Latini è riprovevole<br />
e merita la dannazione eterna per il suo vizio;<br />
come maestro invece è veramente capace, ha insegnato<br />
al poeta come l’uomo si eterna, ed il poeta lo<br />
ricorda ancora con affetto filiale.<br />
16. Il dramma di Ulisse, che è il dramma della ragione<br />
umana che dimentica i suoi limiti in nome del<br />
sapere e dell’esperienza, va inserito nella visione che<br />
il poeta ha del mondo. Essa fonde terreno e ultraterreno:<br />
Dio è attento e vicino agli uomini, gli uomini<br />
possono contare quotidianamente sulla vicinanza e<br />
sull’aiuto di angeli e santi. Per il mondo antico greco<br />
e latino il mondo è circoscritto al Mediterraneo, un<br />
mare conosciuto e perciò sicuro. Alessandro Magno<br />
(356-323 a.C.) si spinge fin nell’India per terra. Ma<br />
il mondo oltre il Mediterraneo in genere resta indeterminato<br />
e sconosciuto. Qualcuno vi si spinge e non<br />
ritorna. I limiti di questo mondo non sono i divieti<br />
divini indicati dalle colonne d’Ercole sullo stretto di<br />
Gibilterra, ma i limiti tecnologici dei cantieri, che<br />
costruiscono navi incapaci di affrontare il mare aperto.<br />
Al tempo di Dante i limiti dei cantieri si riducono,<br />
e il poeta sente il dramma tra la visione tradizionale<br />
del mondo, ristretta al Mediterraneo, e le nuove<br />
e imminenti prospettive aperte dagli esploratori che<br />
per terra e per mare allargano gli orizzonti geografici<br />
e conoscitivi. Uno di questi è Marco Polo che va e<br />
torna dalla Cina via terra (1271-95), altri sono i due<br />
fratelli Vivaldi di Genova, che superano le colonne<br />
d’Ercole nel tentativo di circumnavigare l’Africa e<br />
che muoiono nell’impresa (1291). La visione dantesca<br />
del mondo geografico si modifica rapidamente<br />
nel sec. XIV e riceve il colpo di grazia nel sec. XV<br />
con Bartolomeo Diaz che supera il Capo di Buona