Inferno - Letteratura Italiana
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Ma quello ingrato popolo maligno<br />
che discese di Fiesole ab antico,<br />
e tiene ancor del monte e del macigno,<br />
ti si farà, per tuo ben far, nimico:<br />
ed è ragion, ché tra li lazzi sorbi<br />
si disconvien fruttare al dolce fico.<br />
Vecchia fama nel mondo li chiama orbi;<br />
gent’è avara, invidiosa e superba:<br />
dai lor costumi fa che tu ti forbi.<br />
La tua fortuna tanto onor ti serba,<br />
che l’una parte e l’altra avranno fame<br />
di te; ma lungi fia dal becco l’erba.<br />
Faccian le bestie fiesolane strame<br />
di lor medesme, e non tocchin la pianta,<br />
s’alcuna surge ancora in lor letame,<br />
in cui riviva la sementa santa<br />
di que’ Roman che vi rimaser quando<br />
fu fatto il nido di malizia tanta”.<br />
“Se fosse tutto pieno il mio dimando”,<br />
rispuos’io lui, “voi non sareste ancora<br />
de l’umana natura posto in bando;<br />
ché ‘n la mente m’è fitta, e or m’accora,<br />
la cara e buona imagine paterna<br />
di voi quando nel mondo ad ora ad ora<br />
m’insegnavate come l’uom s’etterna:<br />
e quant’io l’abbia in grado, mentr’io vivo<br />
convien che ne la mia lingua si scerna.<br />
Ciò che narrate di mio corso scrivo,<br />
e serbolo a chiosar con altro testo<br />
a donna che saprà, s’a lei arrivo.<br />
Tanto vogl’io che vi sia manifesto,<br />
pur che mia coscienza non mi garra,<br />
che a la Fortuna, come vuol, son presto.<br />
Non è nuova a li orecchi miei tal arra:<br />
però giri Fortuna la sua rota<br />
come le piace, e ‘l villan la sua marra”.<br />
Lo mio maestro allora in su la gota<br />
destra si volse in dietro, e riguardommi;<br />
poi disse: “Bene ascolta chi la nota”.<br />
Né per tanto di men parlando vommi<br />
con ser Brunetto, e dimando chi sono<br />
li suoi compagni più noti e più sommi.<br />
Ed elli a me: “Saper d’alcuno è buono;<br />
de li altri fia laudabile tacerci,<br />
ché ‘l tempo sarìa corto a tanto suono.<br />
In somma sappi che tutti fur cherci<br />
e litterati grandi e di gran fama,<br />
d’un peccato medesmo al mondo lerci.<br />
Priscian sen va con quella turba grama,<br />
e Francesco d’Accorso anche; e vedervi,<br />
s’avessi avuto di tal tigna brama,<br />
colui potei che dal servo de’ servi<br />
fu trasmutato d’Arno in Bacchiglione,<br />
dove lasciò li mal protesi nervi.<br />
Di più direi; ma ‘l venire e ‘l sermone<br />
più lungo esser non può, però ch’i’ veggio<br />
là surger nuovo fummo del sabbione.<br />
Gente vien con la quale esser non deggio.<br />
Sieti raccomandato il mio Tesoro<br />
nel qual io vivo ancora, e più non cheggio”.<br />
Divina commedia. <strong>Inferno</strong>, a cura di P. Genesini 60<br />
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61. Ma quel popolo ingrato e malvagio, che anticamente<br />
discese da Fiesole e che è ancor ruvido e duro<br />
come il monte e la roccia, 64. ti diventerà nemico<br />
perché ti comporti bene. Ciò è comprensibile, perché<br />
non può succedere che tra gli aspri sorbi dia frutti il<br />
dolce fico. 67. Un vecchio proverbio sulla terra li<br />
chiama ciechi: è gente avara, invidiosa e superba.<br />
Tiènti pulito dai loro costumi! 70. La tua fortuna ti<br />
riserva tanto onore, che ambedue le fazioni vorranno<br />
farti a pezzi, ma l’erba sarà lontana dal bécco (=non<br />
cadrai nelle loro mani)! 73. Le bestie venute da Fiesole<br />
si sbranino pure fra loro, ma non tocchino la<br />
pianta sana, se nel loro letame ne cresce ancora<br />
qualcuna, 76. nella quale riviva la santa discendenza<br />
di quei Romani che vi rimasero, quando fu fondato<br />
quel nido pieno di malizia». 79. «Se il mio desiderio<br />
fosse stato pienamente esaudito» risposi, «voi sareste<br />
ancora vivo, 82. perché nella memoria mi è impressa,<br />
ed ora mi commuove, la cara e buona immagine<br />
paterna che ho di voi, quando nel mondo nei<br />
nostri incontri 85. m’insegnavate come l’uomo si eterna<br />
[sulla terra con la fama]. E, quanto io abbia<br />
gradito questo insegnamento, sarà espresso chiaramente<br />
dalle mie parole finché vivrò. 88. Scrivo nella<br />
mia memoria ciò che m’avete detto del mio futuro e<br />
lo conservo con l’altra predizione (=quella di Farinata<br />
degli Uberti), per farmelo spiegare da una donna<br />
(=Beatrice) che saprà farlo, se arrivo fino a lei. 91.<br />
Voglio soltanto che vi sia chiaro, purché la mia coscienza<br />
non mi rimorda, che ai colpi della Fortuna,<br />
quali che siano, io son pronto. 94. Non è nuovo per<br />
le mie orecchie questo anticipo di sventura. Perciò la<br />
Fortuna giri pure la sua ruota, come le piace, ed il<br />
contadino giri pure la sua zappa.» 97. Allora il mio<br />
maestro si volse indietro con la guancia destra, mi<br />
guardò, poi disse: «Ascolta con profitto chi annota<br />
[nella memoria] ciò [che ha udito]». 100. Per questo<br />
intervento non smetto di parlare con ser Brunetto e<br />
domando chi sono i suoi compagni più conosciuti e<br />
più grandi. 103. Ed egli a me: «È bene che tu sappia<br />
di qualcuno, ma è meglio che taccia degli altri, perché<br />
il tempo sarebbe troppo breve per nominarli.<br />
106. Insomma sappi che tutti furono chierici e letterati<br />
grandi e di gran fama, e si sono macchiati in vita<br />
dello stesso peccato. 109. Con quella turba disgraziata<br />
se ne va il grammatico Prisciano ed anche il<br />
giurista Francesco d’Accorso; e, se tu avessi avuto<br />
desiderio di tale sozzura, 112. potevi veder colui<br />
(=Andrea de’ Mozzi), che dal servo dei servi (=papa<br />
Bonifacio VIII) fu trasferito dal vescovado di Firenze<br />
a quello di Vicenza, dove, morendo, lasciò le sue<br />
energie, così malamente spese. 115. Ti direi di più,<br />
ma non posso venir con te e parlarti più a lungo,<br />
perché vedo là una nuova nuvola sorgere dal sabbione.<br />
118. Vien gente con la quale non devo essere. Ti<br />
raccomando il mio Tesoro, nel quale io vivo ancora,<br />
e non ti chiedo altro».