Inferno - Letteratura Italiana
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cultura per definizione –, per innalzare il tono del<br />
canto. La cultura classica viene sentita come eterna,<br />
valida anche per il presente. Essa però presenta un<br />
unico limite: il fatto che si affida alla ragione e che<br />
non conosce la rivelazione. Di qui deriva la necessità<br />
di completarla con il cristianesimo. Anche in altre<br />
occasioni il poeta aveva iniziato il canto con ampi<br />
riferimenti alla cultura greca e latina, ad esempio in<br />
If XII, 9-15, XXVI, 6-15.<br />
1.1. Il riferimento però serve anche ad accentuare la<br />
degradazione in cui si trovano i dannati. Il poeta fa i<br />
due esempi e poi continua dicendo: «Ma non si videro<br />
mai furie di Tebe né di Troia tanto crudeli contro<br />
qualcuno nel ferir bestie o membra umane quanto io<br />
vidi due ombre smorte e nude (=Mirra e Gianni<br />
Schicchi) che, mordendo altri dannati, correvano<br />
all’impazzata per la bolgia, come fa il porco quando<br />
gli si apre il porcile» (vv. 22-27). La degradazione<br />
appare anche nell’aspetto fisico degli altri dannati,<br />
che compaiono sùbito dopo. D’altra parte il peccato<br />
è degradazione morale e tale degradazione si esprime<br />
efficacemente e visibilmente attraverso gli atti bestiali<br />
e la degradazione fisica.<br />
2. I personaggi sono numerosi e la scena è movimentata.<br />
Il poeta ricorre a una variazione: riprende e riarticola<br />
un’invenzione narrativa che aveva già sperimentato<br />
in If XIII con Pier delle Vigne, Lano da Siena<br />
e Giacomo da Sant’Andrea. I personaggi con cui<br />
egli dialoga o che, comunque sia, sono presenti (alcuni<br />
dannati parlano di altri dannati che si trovano lì<br />
vicino) sono ben nove: egli, Griffolino, Mirra e<br />
Gianni Schicchi, Capocchio, poi maestro Adamo,<br />
Sinone e la moglie di Putifarre, infine Virgilio.<br />
3. La bolgia punisce i falsari. Mirra ha falsato se<br />
stessa. Gianni Schicchi ha falsato Simone Donati.<br />
Capocchio di Firenze e Griffolino d’Arezzo hanno<br />
falsato le monete. Mastro Adamo ha falsato il fiorino.<br />
Sinone e la moglie di Putifarre hanno falsato la<br />
verità. Nel Medio Evo i falsari di monete erano bruciati<br />
vivi, perché con il loro comportamento minacciavano<br />
i commerci, si appropriavano di ricchezza<br />
altrui, facevano perdere fiducia nella moneta. La società<br />
o, meglio, la città si difendeva con estrema durezza.<br />
Il Medio Evo però condannava con la stessa<br />
durezza anche chi falsava l’aspetto delle persone.<br />
Nel caso specifico Gianni Schicchi finge di essere<br />
Buoso Donati. Il motivo di questa durezza è che la<br />
falsificazione di una persona come la falsificazione<br />
delle monete provocava notevoli danni alla società<br />
(le carte di identità e i documenti di riconoscimento<br />
dovevano essere ancora inventati e il riconoscimento<br />
di una persona era particolarmente difficile, se si escludeva<br />
la conoscenza diretta). Di qui la necessità di<br />
prendere provvedimenti estremi.<br />
3.1. A parte questi motivi il Medio Evo ha sempre<br />
un particolare rifiuto nei confronti di chi è doppio, di<br />
chi sa fingere qualcosa di diverso da ciò che è. Peraltro<br />
l’ostilità verso i commedianti, che portava a seppellirli<br />
in terra sconsacrata, dura fino a Novecento<br />
inoltrato. Inoltre Dio è Verità. Il rifiuto dell’inganno<br />
riguarda anche i casi in cui l’inganno dovrebbe essere<br />
legittimo. Invece sono condannati all’inferno sia<br />
Divina commedia. <strong>Inferno</strong>, a cura di P. Genesini 91<br />
Guido da Montefeltro, sia Sinone, sia la moglie di<br />
Putifarre. Insomma neanche in ambito militare e in<br />
ambito amoroso l’inganno o la falsità sono legittimi.<br />
Ben inteso, se in guerra o in amore non ricorri all’inganno,<br />
non vinci, sei sconfitto, puoi perdere gli averi<br />
ed anche la vita. Ma questo è un altro discorso!<br />
All’interessato spetta di fare la scelta: vincere in<br />
guerra o in amore, e finire all’inferno; o perdere la<br />
battaglia, e salvare l’anima. Ma per Dante è meglio<br />
andare all’inferno (e divenire famosi) piuttosto che<br />
vivere senza infamia e senza lode e finire tra gli ignavi<br />
che sulla terra non hanno lasciato alcuna traccia<br />
e alcun ricordo di sé. Però la scappatoia ci sarebbe:<br />
intanto vincere, poi pentirsi di un pentimento<br />
sincero; fare come Bonconte da Montefeltro (Pg V),<br />
non come suo padre Guido (If XXVII). Si evita<br />
l’inferno e si finisce in purgatorio. Le pene sono ugualmente<br />
dolorose, ma almeno non sono eterne.<br />
3.2. L’attaccamento alla verità provoca comprensibilmente<br />
infiniti tentativi di inganno e di frode. Per<br />
questo motivo ben tre giornate del Decameron (1349<br />
–51), la settima, l’ottava e la nona sono dedicate<br />
all’inganno e alla beffa.<br />
3.3. Il timore per la menzogna è tale che il Medio<br />
Evo applica in tutti i casi questo rifiuto e questa condanna<br />
di tutto ciò che non è veritiero. La verità come<br />
valore proposta dal Vangelo e la tesi che Dio è verità<br />
sono applicate con decisione anche all’economia. La<br />
fragilità della società e un senso spiccato della giustizia<br />
e della verità lo imponevano. Questa mentalità<br />
non scompare con la fine del Medio Evo: nel Cinquecento<br />
ci sono infiniti manuali che insegnano a difendere<br />
se stessi e la propria vita privata senza ricorrere<br />
alla menzogna e alla falsità.<br />
4. Dante esce dai limiti del canto (questa è una delle<br />
tante variazioni): aveva già incontrato Griffolino<br />
d’Arezzo e Gianni Schicchi alla fine del canto precedente.<br />
Lo farà anche in If XXXIII, con il conte Ugolino<br />
della Gherardesca. Intanto il poeta introduce<br />
un’altra novità: Griffolino lo accompagna e gli indica<br />
i dannati. Nel purgatorio Sordello da Goito accompagna<br />
per tre canti il poeta (Pg VI-VIII); e Stazio<br />
per tredici (Pg XXI-XXXIII). Nel Paradiso il<br />
poeta dedicherà ben tre canti al trisavolo Cacciaguida<br />
(Pd XV-XVII).<br />
5. Il poeta non dialoga con i dannati: Griffolino gli<br />
indica la scellerata Mirra e Gianni Schicchi e racconta<br />
la storia di quest’ultimo. Alcuni dannati restano<br />
silenziosi, altri parlano. Maestro Adamo racconta<br />
diffusamente la sua storia. E indica anche altri due<br />
dannati: la moglie di Putifarre e Sinone, di cui racconta<br />
rapidamente la storia. Infine il poeta assiste affascinato<br />
allo scambio di accuse tra maestro Adamo<br />
e Sinone, provocando il rimprovero di Virgilio (che<br />
appare soltanto a questo punto), con cui si conclude<br />
il canto. Anche in questo caso fa uso della variazione.<br />
Dal punto di vista narrativo sarebbe stato poco<br />
interessante se egli faceva sempre domande dirette<br />
agli interlocutori e questi gli rispondevano.<br />
6. I dannati mantengono i vizi che avevano in vita:<br />
l’invidia, l’odio, la sete di vendetta, l’ira, l’impulsività<br />
e l’istintualità, il compiacimento nel vedere le