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Mi domando se l’eventuale mortificazione del Natale è realizzata in modo più nocivo, e persino<br />

inafferrabile, dall’esecuzione di un’analisi storica che vuole distinguere gli aspetti leggendari da<br />

quelli storici, o piuttosto dallo stabilirsi di una suggestione consumistica collettiva che ne distorce<br />

l’immagine spirituale e l’insieme dei valori che questa ricorrenza dovrebbe rappresentare.<br />

Da più parti si risponde che il Natale come gioia, come festa, come incontro, è coerente col suo<br />

spirito originario, anche nel fatto stesso di pensare, una volta l’anno, a regalare qualcosa a parenti,<br />

amici e conoscenti. E questo potrebbe essere vero, se non fosse che, in realtà, la dimensione<br />

consumistica fagocita tutto in modo così arrogante da produrre un inevitabile, e talvolta<br />

irrimediabile, effetto psicologico. Personalmente ritengo che questo equivalga ad una dissacrazione<br />

del Natale assai peggiore di quella che può essere effettuata da studi storici che mostrano gli aspetti<br />

mitologici della tradizione.<br />

E, viene inevitabilmente domandarsi, in quale misura i rappresentanti della dottrina cristiana, si<br />

adoperano, al di là di qualche debole sporadico intervento verbale, per insistere affinché il Natale<br />

sia vissuto dalla collettività in modo coerente coi valori che dovrebbe trasmettere? O non<br />

preferiscono piuttosto tollerare, rassegnati ad una logica di convenienza, che il Natale si associ,<br />

nella realtà dei fatti, all’idea dell’abbondanza, dell’ostentazione e dello spreco? Contentandosi di<br />

salvaguardare gli aspetti liturgici e le abitudini cultuali, per poi cedere il posto ad un atteggiamento<br />

secolarizzante, ormai ben consolidato.<br />

Per quanto leggendari possano essere i racconti della natività, essi trasmettono alcune precise scelte<br />

ideologiche e religiose che non possono essere facilmente travisate. La nascita del dio incarnato, o<br />

del re messianico, non si ambienta nella cornice opulenta adeguata ad una concezione faraonica, che<br />

glorifica la grandezza spirituale attraverso la grandezza materiale. Al contrario, la famiglia in cui è<br />

generato Gesù è dipinta nella sua caratteristica umiltà e, se nella natività di Matteo il bambino vede<br />

la luce in una modesta abitazione, in quella lucana è partorito addirittura in un serraglio per gli<br />

animali, e posto in una mangiatoia, come la più dimessa delle creature.<br />

Tutto ciò non incoraggia l’immagine di un Natale opulento, né si confà con la filosofia di fondo<br />

dell’occidente cristiano, che guida il mondo intero coi suoi modelli di consumo, trascinando nella<br />

corsa al benessere materiale, o purtroppo semplicemente nell’ambizione ad esso, i paesi di tutto il<br />

pianeta, a qualunque tradizione e cultura essi appartengano.<br />

Questa consapevolezza è incorporata anche nella moderna contestazione anticlericale, fondata su<br />

una concezione di derivazione marxista. Ma, al posto delle tradizioni religiose, e al calore che esse<br />

portano nello scorrere delle stagioni, quale legame propone il materialismo storico con le nostre<br />

origini culturali e spirituali? E quali espressioni sociali del nostro anelito istintivo ad una<br />

dimensione di sacertà che possa essere vissuta collettivamente?

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