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storture, “è ritenuta responsabile della carenza di legne… si
verificano disboscamenti finalizzati ad ottenere pascoli più
estesi, si tagliano alberi immaturi e le greggi provocano
danni irreparabili alle piante”.
Un’economia di sussistenza e quindi di sopravvivenza. Senza
questi abusi molti residenti avrebbero dovuto abbandonare il
proprio lavoro e le proprie terre.
Questi fenomeni di sfruttamento, nei dintorni del 1840, furono
affrontati dal governo austriaco con risoluzione prescrivendo che
“tutti i terreni comunali incolti dovranno alienarsi con
sollecitudine”.
Sistemazioni idraulico-forestali e rimboschimenti,
coltivazione di incolti caratterizzeranno questo periodo e i periodi
successivi.
Forse è bene ricordare che tali opere avevano la doppia finalità
sociale e militare.
I boschi e gli alpeggi, sono così rimasti ingabbiati alle vicende
storiche, ma sempre con una valenza rilevante “senza il bosco non
avrebbero sopravvissuto le economie montane”.
Ciò si è perpetuato fino a quando l’altra economia, quella
industriale, ha avuto il netto sopravvento su quella agricolo
ambientale (rurale).
La legna è diventata un prodotto per esclusivo uso familiare
(riscaldamento) e non più un bene finalizzato ad un’economia
sociale.
Anche l’uso della legna da riscaldamento civile è andato
affievolendosi con l’avvento degli idrocarburi e della rete di
metanizzazione.
Pur se non contemporaneamente anche l’attenuarsi e il
modificarsi delle modalità di monticazione, unitamente ad una
diminuzione della coltivazione del bosco ha determinato un
cambiamento dell’equilibrio ambientale.
Trasformazione che ha determinato:
l’avanzata del bosco a discapito dei pascoli, solo
attenuata da una significativa presenza di capi
monticati;
situazioni intermedie non ben classificabili fra
boschi puri e boschi misti, che a causa
dell’abbandono gestionale mettono in difficoltà un
approccio ecologicamente razionale e gestibile;
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