Rapporto sull'Attività Scientifica 2002 - INGV Home Page
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Sezione di Roma 1 Sismologia e Tettonofisica<br />
Principali strutture <strong>INGV</strong><br />
Sezione Roma 2<br />
Centro Nazionale Terremoti<br />
Sezione di Catania<br />
Descrizione attività<br />
L’Unità Funzionale si occupa di vari aspetti della sismologia, che riguardano soprattutto obiettivi geodinamici a larga<br />
scala spaziale e non limitati al puro contesto nazionale. Nonostante l’esigua consistenza numerica dell’UF, gli interessi<br />
sono molteplici e piuttosto diversificati, a conferma di una significativa vitalità scientifica del team; fra l’altro, numerosi<br />
sono i rapporti di collaborazione con ricercatori di altri gruppi di ricerca dell’<strong>INGV</strong> e di altre istituzioni italiane ma soprattutto<br />
estere. Durante il <strong>2002</strong> abbiamo principalmente perseguito alcuni filoni di ricerca principali: la struttura crostale<br />
della regione italiana; la struttura e la dinamica del mantello superiore e della zona di transizione sotto il continente europeo<br />
e la zona di collisione tra le placche africana ed eurasiatica; la struttura della litosfera e del mantello superiore sotto<br />
la placca antartica, assolutamente unica e ancora pochissimo conosciuta; i meccanismi focali e la deformazione sismica<br />
nella fascia di deformazione continentale tra Africa ed Europa. Abbiamo seguito alcuni progetti tecnologici che<br />
riguardano l’installazione di strumentazione sismografica in zone remote ma di indubbio interesse e visibilità internazionale,<br />
quali l’Antartide e l’Himalaya, nonché la gestione di banche dati in ambito internazionale. Numerosi sono state<br />
anche le collaborazioni con altri ricercatori della sezione, di altre sezioni dell’ente, su altri e diversi argomenti, i cui risultati<br />
sono rappresentati da alcune delle pubblicazioni dell’anno.<br />
Sono state analizzate le registrazioni di eventi telesismici effettuate da stazioni a tre componenti installate sul territorio<br />
italiano nel corso di esperimenti e come stazioni permanenti, per la determinazione delle receiver functions<br />
finalizzate alla identificazione della fase PS convertita alla Moho. Ove la qualità del dato lo permetta, le receiver<br />
functions possono essere invertite per la determinazione della struttura della crosta (spessore e velocità delle onde<br />
di taglio) al disotto della stazione sismica (il lavoro è condotto in collaborazione con Eric Sandvol, dell’Università del<br />
Missouri - Columbia). Lo scopo dello studio è la determinazione dello spessore crostale in punti-chiave dell’area italiana<br />
dove siano disponibili registrazioni sismiche a larga banda e a 3 componenti. Il primo set di dati utilizzato è<br />
quello del transetto appenninico settentrionale (NAP). La qualità dei dati non ha permesso l’inversione delle receiver<br />
functions. Pertanto le profondità della Moho lungo il transetto sono state stimate dal ritardo PS Moho - P, assumendo<br />
una velocità media delle onde P nella crosta e un valore del rapporto di Poisson. I risultati della nostra analisi<br />
mostrano che la discontinuità crosta-mantello si trova ad una profondità di circa 50 km al disotto dell’area di maggiore<br />
rilievo topografico dell’Appennino settentrionale. Questo risultato, di assoluta novità rispetto alle mappe delle<br />
isobate della Moho finora pubblicate, è consistente con l’ipotesi di delaminazione della litosfera continentale adriatica,<br />
già ipotizzata da Mele et al. (1997) sulla base dell’attenuazione delle fasi Sn, e col verificarsi di terremoti subcrostali<br />
nell’area in esame. I risultati di questo studio, già presentati in forma preliminare al convegno dell’IUGG di<br />
Hanoi, Vietnam, nel 2001, e in forma definitiva al convegno dell’AGU nel Dicembre <strong>2002</strong>, sono stati successivamente<br />
accettati per la pubblicazione sulla rivista EPSL (Mele & Sandvol, in stampa). È inoltre in corso una elaborazione<br />
degli stessi dati con una tecnica di migrazione delle receiver functions messa a punto dal sismologo Susumu Abe,<br />
della Japan Petroleum Exploration Co. (JAPEX) di Tokyo.<br />
Abbiamo completato lo studio, avviato negli anni precedenti, di un modello tomografico tridimensionale per il mantello<br />
superiore dell’area Euro-Mediterranea mediante l’utilizzo dei tempi di arrivo delle onde P (Piromallo, Morelli, 2003).<br />
Abbiamo contemporaneamente avviato diversi lavori volti all’interpretazione delle strutture individuate tramite la tomografia<br />
(Faccenna et al. 2003), in collaborazione con ricercatori dell’Università di Roma 3 e di alcuni istituti Europei (Università<br />
di Parigi VI; Istituto Andaluso di Scienze della Terra, Granada). Le informazioni ricavate dal modello tomografico<br />
relative alla posizione, estensione, geometria, profondità degli slab subdotti e delle anomalie positive di velocità, integrate<br />
con dati geologici e sismologici e con il moto delle placche, consentono di realizzare ricostruzioni tettoniche ed<br />
ipotizzare possibili quadri evolutivi della regione dal punto di vista geodinamico. In particolare, abbiamo analizzato le<br />
differenze nella struttura profonda in termini di velocità sismica tra Mediterraneo Occidentale ed Orientale, nei quali si<br />
nota, rispettivamente, un accumulo di materiale caratterizzato da alta velocità sismica confinato nella zona di transizione<br />
ed un notevole quantitativo di materiale che invece supera la discontinuità sismica a 660 km di profondità e penetra<br />
nel mantello inferiore. Abbiamo spiegato questo scenario proponendo che nel Mediterraneo Orientale la durata maggiore<br />
della subduzione (attiva fin dal Cretaceo o Giurassico, piuttosto che dal Terziario) ed il moto differente del sistema<br />
placca superiore-trench rispetto al Mediterraneo Occidentale, abbiano favorito la subduzione di un maggior quantitativo<br />
di materiale litosferico ed il suo accumulo all’interfaccia tra mantello superiore e mantello inferiore. Il peso di tale materiale<br />
può aver sovrastato l’effetto di barriera prodotto dall’incremento di viscosità e dalla transizione di fase endotermica<br />
ed averne prodotto il conseguente sprofondamento nel mantello inferiore. La storia passata della subduzione che ha<br />
portato allo scenario attuale e le sue implicazioni sullo stile di convezione del mantello sono studiate in dettaglio in un<br />
lavoro sottomesso per la pubblicazione (Faccenna et al., submitted). Abbiamo inoltre proposto un modello per l’evoluzione<br />
del sistema di archi (Arco Calabro, Arco di Gibilterra) del Mediterraneo Occidentale sviluppatosi negli ultimi 35<br />
Ma, attribuendo la loro origine alla frammentazione di un unico slab (lungo circa 1500 km) in segmenti più piccoli, nel<br />
quadro di un regime di convezione ristretta al mantello superiore (Faccenna et al., 2003b).<br />
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