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Da Roma a Cortina di Carlo Durazzo

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al Terminillo; "appoggiata" al buon Dino Zamboni, fu assai imbarazzante per una palpabile

aria di carestia e per la carenza di partecipazione. Gli svizzeri erano pochini anche loro, ma

per il 18 c'erano solo cinque o sei aspiranti maestri (per l’appunto una delle squadre-vivaio di

Nicolò) alcuni bambini, Dino Zamboni, Nicolò, che ripartì quasi subito, e io.

La trasformazione

Paolo

A Nicolò succedette, direi nell'81, Paolo Asta, e fu una svolta molto incisiva per gli anni

successivi.

Paolo, oltre ad essere uno fra i diciottini più "doc" era particolarmente brillante nei salotti e

altrettanto radicato nelle frequentazioni cortinesi. Così, sorvolando a piè pari sulle regole

d’ammissione (che del resto erano disattese da anni), fu intrapresa una vasta campagna di

proselitismo, e il 18, asfittico e senza un soldo, riprese improvvisamente tono, aumentò a

dismisura, e incominciò a assumere un ruolo preponderante nella vita mondana cortinese.

Venne anche ripristinato, nell'83 (e da allora continuò), il triangolare con St.Moritz e Gstaad, e

i ricevimenti connessi diventarono avvenimenti ambiti. Il 18 e la casa di Paolo, con la sua

adorabile Donatella, erano insomma il fulcro della vita social-sportiva ampezzana. Pur nella

sua rischiosità, era stato fatto un passo importante, e il 18 degli anni successivi ha tratto, da

questa apertura sociale, sostanziali energie e linfa vitale.

Ma gli aspetti "sportivi" restavano quello che erano, e anche la gestione era un grosso punto

interrogativo. La situazione, infatti, sfuggì presto dalle mani di Paolo e finì in quelle di una

segreteria tanto esuberante quanto poco "diciottina". Fu un momento critico, molto critico.

Paolo denunciò, forse tardivamente, la situazione ai soci fondatori i quali, per ristabilire

l'ordine, si rimisero alla consumata saggezza di Harvey, nominandolo così, per la sua seconda

volta, presidente del Circolo.

INTERVISTA A NICOLO’ DONA DALLE ROSE – Concessa a Vittorio Sambuy nel 2003

a Milano, rivisitata con lui, nel 2004 da Carlo Durazzo

Caro Nicolò.

Vorrei tu mi raccontassi qualcosa della tua presidenza al 18 che, se ricordo bene, hai ereditato

in condizioni un po’ disastrate.

R/ Dipende molto dal punto di vista. Nel 1975 il circolo non si poteva considerare disastrato ma

certo non aveva più quei corridori d’alto livello dei bei tempi né una squadra giovani che

potesse operare con reali prospettive.

Perciò io sostenni che per far funzionare il 18, per dargli la continuità sportiva che meritava, era

necessario avere una squadra di ragazzi giovani. In questo mi sono sempre rifatto

all’insegnamento che avevo recepito prima da Lanfranco Colombo e poi da Carlo Durazzo.

Lasciati soli, i giovani non vanno a sciare né partecipano a gare o altre manifestazioni se non

trascinati e coccolati. Per muoverli occorre essenzialmente un catalizzatore.

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