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Da Roma a Cortina di Carlo Durazzo

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Neve e fichi d'india (di Vittorio Sambuy)

« Il primo degli incontri con il SAS che svolgemmo sull’Etna fu un successone e un grandissimo

divertimento per tutti. L'organizzazione - eravamo agli inizi degli anni Cinquanta - fu molto

difficoltosa, ma ci aiutò assai il duca di Misterbianco, presidente dello sci club locale.

Giungemmo a Catania assieme agli svizzeri con un volo charter dell’Air Mediterranea e

scalammo il vulcano a piedi per ben due volte. La prima fino in vetta ad ammirare lo

spettacolare panorama, con il mare che luccicava sullo sfondo, nonché per decidere sul

tracciato della gara di discesa, la seconda l'indomani, per prendere il via dove termina la neve,

sotto al conetto terminale di ceneri calde. La sera prima dell’incontro Saligari riuscì quasi a

tagliarsi l’arteria femorale sfondando una vetrata dell'albergo, ma prese il via egualmente.

Aspettammo che il Firn si sciogliesse e fu una discesa entusiasmante. Per il cronometraggio

avevamo dei walkie talkie residuati di guerra con i quali trasmettevamo i risultati alla partenza.

Nella somma dei tempi stavamo perdendo per qualche secondo e l’ultimo a scendere era

Giorgio (Franchetti). Conscio che la vittoria finale dell’incontro dipendeva dal suo risultato, si

buttò a corpo morto nel veloce Schuss, ma a pochi metri dal traguardo, finì miseramente in una

“pelle di leone” poco prima del traguardo. Perdemmo l’incontro, ma la spedizione finì in

gloria con un tuffo nelle acque di Taormina, ove la moglie del presidente del SAS lasciò il

cuore, folgorata dalla bellezza del luogo nonché dallo charme di Mario.»

Giorgio Franchetti racconta la guerra nell’aviazione da caccia e l'incontro del SAS-18

dell'Etna

«Si combatteva circa dai 18 ai 50. Io avevo 21 anni nel 41, per non andare in Marina perché

non volevo finire nei sommergibili, ho preso il brevetto di pilota civile e andai direttamente in

aviazione. Mio padre, aveva fatto la guerra mondiale, è rimasto a casa con mia madre e mia

sorella. Io mi divertivo, gli aerei li pilotavo secondo le azioni, delle volte tre o quattro ore il

giorno, delle volte affatto.

Il quarto stormo era il più prestigioso, nasceva dalla squadriglia della 1a guerra mondiale di

cui era stato comandante Baracca che era il nostro eroe. Tutti volevano andare al 4°stormo,

era il più quotato per i combattimenti aerei. Era composto di due gruppi il 9° ed il 10°, il

comandante del 9° era Francesco Ruspoli, un uomo bellissimo cugino dei fratelli Ruspoli che

erano nei carri armati e combatterono (e morirono) ad El Alamein, lui invece comandava il mio

gruppo, il 9°. Nel gruppo eravamo tre squadriglie, ogni squadriglia aveva 20 piloti. Ne sono

rimasti pochi. Io sono entrato nel 40 e quando è finita la guerra ci siamo contati: da 31 che

eravamo alla scuola di pilotaggio militare eravamo rimasti in 9.

Non avevo mai paura. A volte avevo anche coraggio. In genere non ne avevo bisogno, a volte

quando era pericoloso ci mettevo coraggio ma paura mai. (Però..) Mi ricordo quando una volta

subito dopo la guerra facemmo una gara di sci dello sci 18, la organizzai sull’Etna, non c'erano

impianti, bisognava salire a piedi. Io che ero capitano della squadra scesi giù dritto, ma il vento

aveva reso la discesa come una scalinata, la neve era gelata, e si erano formati gradini, si

scendeva a 120/130 l'ora giù per il dosso. Sono miracolosamente riuscito ad arrivare in piedi

era proprio come scendere giù volando da una scalinata. Poi io volai e nessuno mi vide, ho

avuto una commozione cerebrale perché la neve era durissima ».

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