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Da Roma a Cortina di Carlo Durazzo

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Ricordi di Daniele anni 1960-67

“E di quella volta che con Gianandrea Gregorini tornavamo da un allenamento con

l’ASIVA…quando, in autostrada…

Avevamo fatto un magnifico allenamento di discesa a Pila, aggregati alla squadra del comitato

valdostano, diretta da Gigi Panej, uno dei più grandi uomini che abbia mai conosciuto.

Credo che, allora, non avesse neanche lui l’idea di quante vite salvò sul Bianco, nel Traforo… e

a quanti, a partire dal sottoscritto, insegnò il valore della montagna, del sacrificio, e,

principalmente, quello della propria dignità.

Dunque dicevo, che dopo i tre giorni di allenamento intenso con Gigi Panej, composto di:

sveglia alle 6 (buio)

ginnastica alle 8, sempre al buio

colazione: no latte, non si digerisce se non dopo 2 – 3 ore, no burro: non si digerisce, è

composto di grassi animali; attenti al colesterolo! solo caffè, ma meglio tè con fette biscottate e

marmellata…. Panej era un autodidatta, abruzzese cocciatosta, che dopo aver fatto la naja

come alpino a Courmayeur vi , lì si era fermato e lì se ne è andato, sotto una slavina durante i

campionati Italiani Assoluti del 1967 dove correvamo anche Gregorio, Nicola ed io.

Allora, ho divagato: dicevo che tornavamo a Milano, in autostrada, col fido “maggiolino rosso

di Gregorio, io alla guida, Gianandrea al sonno, e due enormi sacche piene di sci, che, come

ultimo ritrovato della tecnica automobilistica incurante delle leggi aerodinamiche, erano

fissate in verticale al cofano del motore ed appoggiate sul paraurti… quando Gregorio, come

per intuito, si desta dal letargo e voltandosi indietro, grida: “al fuoco, al fuoco”.

Trovo la piazzola di sosta, mi fermo, dietro, le sacche erano completamente in fiamme: una,

quella di Gregorio, piena di White Star Kneissl appena ritirati in fabbrica l’altra, quella mia,

stracolma di Frejrie anch’essi appena ritirati. Ovviamente il tutto legato saldamente dalle

cinghie – lunghe in cuoio, disusate dagli attacchi Marker.

A forza di calci siamo riusciti a buttarle giù, quando aveva già preso fuoco la vernice del

cofano motore!

Risultato: siamo tornati a Milano con qualche moncone di sci, composto da riccioli di lamine,

le prime incollate, non avvitate, che apparivano come i capelli di una vecchia megera, e un

muso lungo per stabilire chi dei due stronzi non si fosse accorto di aver lasciato, montandola,

un lembo di sacca sullo scappamento dell’auto.

E di quella volta che a Les Diablerettes, o forse a Verbier, non ricordo, con Patrizia (Medail),

Adriano (Vigo) e Gregorio, al concorso del SAS partecipammo alla Gran Combinata, composta

di sci alpino, sci di fondo – staffetta mista e salto.

Quello che ricordo è che la più bella gara la feci nel salto: sci da discesa lunghi 225 cm;

scarponi con i primi due ganci alti aperti per flettere le caviglie; guanti bianchi, presi in

prestito ad un cameriere, per far colpo sui giudici che attribuivano un voto anche allo stile.

Arrivai terzo, con circa 35 metri, ma primo dei non saltatori!

E di quella volta a Pedraces, in val Badia, di quando, rimbambito da una caduta in prova di

discesa, in stato semi commotivo, ma allora non ci si badava, assistito da Nicola (Gandini) che

mi portava in giro come un cagnolino, pretendevo, dopo essere caduto ancora, di finire le gare

con uno sci solo…ma questa è un’altra storia.

E di quella volta che a Cortina. e poi di quell’altra a St. Moritz quando vincemmo l’incontro

con il SAS. Non ricordo chi di noi vinse le gare o la gara, so solo che vincemmo l’incontro…

tutti insieme.

E di quella volta… che bello essere diciottini, te ne accorgi adesso, dopo tanti anni».

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