Da Roma a Cortina di Carlo Durazzo
You also want an ePaper? Increase the reach of your titles
YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.
A differenza dei tempi della presidenza di Furio Nordio, quando c’erano atleti più dinamici, che
avevano nella forza personale il desiderio di andare (da soli) a vincere le gare e dare così gloria
al circolo. Il concetto ci trovava tutti d’accordo ma come arrivarci?
La prima preoccupazione è stata quindi di ricollegarmi a una mia precedente attività: che cioè ci
fosse un allenatore che seguisse la squadra. Avevo sostenuto questo concetto ancora prima di
diventare presidente e, diventatolo, mi rivolsi a Roberto Morelli, universitario bresciano, col
preciso intento di non avere un allenatore pagato, estraneo al circolo, ma un socio.
Roberto era un forte sciatore, di prima linea, che si distingueva in gare non solo zonali (allora il
club era ancora domiciliato a Roma e iscritto alla Zona FIS centro-meridionale, quando si
andava a gareggiare al Terminillo, al Gran Sasso, a Roccaraso e ad Ovindoli). Roberto era il
trainer del gruppo ma questa mia spinta alla necessità prioritaria di tenere insieme i ragazzi era
bollata talvolta con un po’ d’ironia dai soci più anziani, peraltro dall’ottimo palmares sportivo,
che mi davano del “giovane turco”.
(Era la stessa critica fatta anche a me negli anni 70 quando portavo in giro i ragazzini che sono
diventati, in molti, la successiva struttura portante del 18. Carlo Durazzo)
Era però quello l’unico modo per tirar fuori degli elementi validi e ricreare una squadra, che non
esisteva all’inizio della mia presidenza. Avevamo anche pochi nuovi soci in generale. Si era
raggiunto il culmine di una parabola e ricordo interminabili discussioni con Mario Franchetti
sulla necessità di allargare il circolo. Forse allora furono fatte anche delle scivolate d’ala,
consentendo l’ingresso anche a persone d’incerta capacità agonistica ma uscivamo da un
periodo in cui vigeva la ferrea prassi delle cinque palle nere utilizzate anche con un ostracismo
quasi preconcetto contro alcuni ottimi amici che non meritavano secondo me la bocciatura.
Per molti bravi sciatori questo atteggiamento era talvolta controproducente.
Ne ricordo uno, Italo Viola, un fortissimo universitario, simpatico, aperto, che non volle
diventare nostro socio perché non accettava di sottomettersi alle le forche caudine di persone
che agonisticamente valevano meno di lui.
Eravamo giunti al limite di una situazione che da un lato ci dava il vanto di essere un club
esclusivo ed estremamente selettivo mentre dall’altra, non avendo più corridori di grande
prestigio come Eugenio Monti, Dino Zamboni, Sandro, Beti e Ascanio Menardi, Romano
Rimoldi, Antonio Bertolaja, Furio Nordio, Nanni Serralunga eccetera, potevamo offrire poco.
Donde un certo ostracismo da varie parti. vii
Allora mi attaccai con molta confidenza e fiducia a Osvaldo Alberti (Dallas), cui va tutta la mia
ammirazione e gratitudine per la sua generosità nella ricostruzione di una squadra: lo fece con
una passione che pochi dei nostri soci avrebbero avuto, una capacità che nessuno di noi aveva.
Era fratello, padre, trainer dei ragazzi e assai benvoluto, sapeva escludere dalla squadra chi non
ne era degno, sapeva premiare i meritevoli: era una persona pulita, una delle più pulite che abbia
incontrato nella mia vita e gli devo molta riconoscenza. Con lui riuscii a ricreare una squadra
assolutamente di prim’ordine tanto che ricominciammo ad ottenere piazzamenti importanti, non
solo da parte dei più giovani. Va ricordato che dopo tanti anni decisi di rivolgere l’attenzione a
sciatori ampezzani cosa che in precedenza aveva dato le più grandi soddisfazioni sportive al 18.
Ricordo i Fava, una coppia di coniugi ampezzani che fu preziosa. Il fatto di avere dei genitori di
ragazzi corridori aiutava molto a creare uno spirito di squadra e facilitava la logistica, giacché
sono i genitori ad accompagnare i figli alle gare. Beninteso quando i genitori sono animati da
vero spirito sportivo.