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Da Roma a Cortina di Carlo Durazzo

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A un incontro dello Sci Club 18 con il SAS, in Svizzera, mi raccontò che quando era giovane

sempre ad un incontro con il SAS, al brindisi d'apertura, scolato l'aperitivo, tutta la squadra del

18, saltò fuori dalla finestra, sulla neve. - Per fortuna c'era molta neve. - Pare che vent’anni

prima i "diciottini" fossero molto più scatenati di noi.

Nel settembre di alcuni anni dopo, andando a Cortina una domenica, lo raggiunsi mentre saliva

verso Ponte nelle Alpi col deltaplano sul tetto dell'auto. Lui volava disteso, prono. Ricordo che

ai cortinesi che volavano seduti, perché si lanciavano con gli sci al piedi dal Faloria, verso

Alverà di notte, aveva chiesto: "se tu fossi un uccello, come terresti le gambe in volo?". A Ponte

nelle Alpi c'è l'aeroporto dove atterravano i deltaplanisti. L'accordo tra loro e i piloti degli

aerei iv era; che i piloti dovessero volare sempre a sud, mentre i deltaplanisti a nord.

Ritornando a quella domenica ... Verso sera, tornando da Cortina lo incontrai un po’ eccitato.

Mi disse: "Quando scendevo verso l'atterraggio, un aereo venendo da oltre la strada,

incrociandomi mi è passato sopra molto vicino, così lo spostamento d'aria ha provocato un’

inversione di portanza sulle ali del deltaplano, e sono piombato venti metri più in giù, prima di

riprendere l’assetto giusto". Era un uomo coraggioso.

Morì improvvisamente a 69 anni; ancora nel pieno delle sue forze, nella sua Feltre, dove aveva

organizzato il primo campionato del Mondo di “ Volo con il Deltaplano”. Effettuato il suo volo,

circa 15 minuti dopo l’ atterraggio ebbe un infarto, che gli fu fatale ».

Adriano ricordato di Carlo Durazzo

«Una discesa libera al Concorso Internazionale del SAI a Courmayeur nel 1958, Adriano era

Presidente, arrivai 4°, primo italiano, ed ero molto fiero, guardando la classifica lo vedo 10°a

pochi secondi dietro di me! Una lezione, aveva almeno 50 anni ed io 25».

Piero Taruffi raccontato da Furio Nordio

«Alla fine del 1949 avevo 18 anni ed ero iscritto al secondo anno di ingegneria all'università di

Roma, dove abitavo nella casa di mia sorella maggiore e suo marito. Entrambi erano medici,

ginecologo lei, chirurgo lui.

A Roma, i soci anziani del 18 si riunivano circa una sera al mese, per cenare tra amici. Chi

interveniva sempre, oltre a me, era il presidente, Carlo Franchetti poi c'erano Umberto Cagli,

Ferdinando Menzocchi (anche lui un tesoro di uomo, come tutti), Tom Goldschmidt, coetaneo

delle mie sorelle maggiori che conoscevo già da bambino.

A queste cene era sempre presente anche Piero Taruffi. Cene speciali per me, dove nonostante

io fossi di gran lunga il più giovane, c'era un clima generale di cordialità più che fraterna; la

sensazione di stima e affetto reciproco era unica, forse difficile da ritrovare.

Taruffi, un bell’uomo dal volto scultoreo, deciso, abbronzato e incorniciato dai bei capelli

bianchi, aveva la pazienza di raccontare a me, novellino appassionato di automobilismo, non

solo le sue corse, ma anche di darmi delle istruzioni: per esempio su come si dovessero

affrontare, negli Stati Uniti, le curve veloci con le grosse e pesanti macchine americane: "in

appoggio" mi diceva, cioè mantenendo una traiettoria parallela all'asse della strada, e non

stringendo la curva al centro, come usiamo noi europei. Lui campione mondiale di

motociclismo, recordman mondiale di velocità con il bisiluro e campione d'automobilismo al

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