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Da Roma a Cortina di Carlo Durazzo

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modesta, a un certo momento mi ritrovai di fatto ad essere il più bravo della vallata. Dicevano

che sapevo "far correre" gli sci, dicevano!

Avevo tredici anni; nello Sci Club Cortina, al quale ero stato iscritto d'ufficio, non ero né

consapevole né particolarmente a mio agio, e così, proprio in quel periodo, non ricordo

neanche perché o percome, fui adottato, e non trovo parola migliore, dallo Sci Club 18. Nicolò

Donà dalle Rose su tutti (una specie di semidio) ma anche suo fratello Luigino, Mario

Franchetti, Furio Nordio, Paolo Asta, Ascanio Palchetti, Adriano Guarnieri, e poi gli altri,

Giuseppe Gazzoni, Franco Carraro, Alberto Pederzani, Carlo Durazzo, Dante Bini, chi più chi

meno, diventarono così una mia seconda, e molto esclusiva famiglia. Tutti super-amichevoli,

super-simpatici, super-sportivi, e per di più con il loro corredo di ragazze, anzi di signore,

belle, spigliate, evolute, e sportive anche loro. E poi con le loro Aurelie Gran Turismo, con le

Ferrari, "la Jeep", lo "skiwasser", lo "Scotch", i "grigioverdi", la confidenza con il francese, e i

racconti favolosi (più tardi perlopiù patacche metropolitane!).

Insomma, quei villeggianti di Venezia o di Padova, che mi complessavano, erano diventati, tutto

d'un tratto, modesti, malvestiti, e anche un poco ignoranti.

Questa bella immagine del 18, tarando ovviamente l'infatuazione che potevo averne ricavato a

tredici-quattordici anni, è continuata nel tempo, e con tutti i soci che incontravo via via.

Conoscere un "diciottino" creava un automatismo di confidenza ed elettività a qualsiasi età. A

quel tempo, almeno per me, non usava proprio dare del "tu" ai grandi; ma non era così nel 18,

e dare del tu a Mucky Windischgraetz, a Piero Taruffi, a Vittorio Sambuy o Francesco Colonna,

tutti di una generazione sopra alla mia, mi faceva, come sono certo lo facesse all'epoca ai miei

soci-coetanei, ai vari Dotto, Tita, Raf, Carlin, un flottante effetto di sicurezza e di

emancipazione.

Ma se le mie sicurezze ed il mio morale fecero con il 18 un balzo in avanti, non si può certo dire

che la mia carriera sportivo-sciistica ebbe a giovarsene altrettanto proficuamente, anzi fu un

vero disastro.

Lasciando lo Sci Club Cortina mi ritrovai infatti nel più totale isolamento, sia sul versante degli

allenamenti (era giunto il momento di abbozzarla con le traiettorie e di fare un po' di paletti) sia

su quello, ancora più importante, della logistica e dell'appoggio "in FISI".

Ai livelli quasi professionali nei quali mi destreggiavo tra il 1958 e il 1962, cioè tra i

quattordici e i diciott'anni, un'età cruciale nella carriera sportiva, ero l'unico gareggiante di

tutto il sistema alpino iscritto allo "Sci Club 18" (molti, fra le montagne, credevano si trattasse

dell'Amaro 18 Isolabella, e mi prendevano anche piuttosto malamente in giro). Ho fatto una vita

molto dura in quegli anni, e l'ho fatta in solitudine. Andavo a scuola i primi due o tre giorni

della settimana e il giovedì mattina, con un freddo bestia e col buio, partivo per le gare, con

due paia di sci in spalla e una valigia inadatta, per prendere la corriera o il trenino delle

Dolomiti. In famiglia mio padre era quasi sempre via, e mia madre, che odiava la neve e la

montagna, mi raccomandava soprattutto, e in controtendenza, di andar piano.

In tutta sincerità, se in quegli anni non sono riuscito a dare di meglio è stato perché non ce la

facevo, fisicamente e psicologicamente. Ma del resto il 18 di allora non aveva né la mentalità né

la struttura per concepire un supporto alle mie sconosciute performances. Ne’ io, tanto i mondi

erano diversi, mi aspettavo di averlo.

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