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VETRIOLO - ClassiciStranieri.com

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don chisciotte pagina 105<br />

Prendiamo ad esempio l'incontro con gli uomini che portano delle immagini<br />

intagliate. Sono quattro: san Giorgio, san Martino, san Gia<strong>com</strong>o e San<br />

Paolo. Ai primi tre sono dedicati <strong>com</strong>menti freddi e rapidi. San paolo,<br />

invece, verrà esaltato <strong>com</strong>e uomo del dialogo con tutte le genti: è san Paolo<br />

il convertito, ritratto «così al vivo che si sarebbe detto che Cristo gli parlasse<br />

e Paolo rispondesse»: è davvero più riuscita la rappresentazione (perché<br />

sono figure, insomma falsi santi), o è diversa l'emozione che Don Chisciotte<br />

prova per san Paolo? Lo chiama «cavaliere errante», ed è strano. Giorgio e<br />

Martino lo erano nell'iconografia; che lo sia Gia<strong>com</strong>o è <strong>com</strong>prensibile,<br />

essendo patrono nella lotta contro i mori. Ma Paolo? Qual è la sua impresa<br />

cavalleresca? Aprire il cristianesimo ai pagani, invece di cacciarli?<br />

Prendiamo un episodio successivo: la notizia, saputa in una locanda, della<br />

falsa continuazione del Chisciotte scritta da Avellaneda (che tra l'altro è<br />

veramente un falso nome): è una storia che falsifica i personaggi cervantini,<br />

e per smentirla e mostrarla non veritiera, Don Chisciotte decide di recarsi a<br />

Barcellona, dove in precedenza non aveva ragione di andare. È troppo se<br />

diciamo che si tratta di una scelta inautentica, cioè falsa?<br />

Insomma, tutto lascia pensare che nella seconda parte del Chisciotte il tema<br />

dominante non sia lo scontro tra la verità e la menzogna, ma il conflitto tra<br />

un tipo di falsificazione, operata dal potere e da chi lo detiene, e un altro<br />

tipo di falsificazione, conseguenziale, attraverso il quale singoli poveracci si<br />

conquistano la possibilità di sopravvivere. Nella prima parte era chiarissimo<br />

che il mondo sociale fosse una colossale finzione: la teatralità del potere,<br />

dell'ipocrisia generale, della recita di ruoli, un «gran teatro del mondo» che<br />

si rivelava tale nel momento in cui un vero guitto, o un pazzo, iniziavano<br />

consapevolmente a recitare e costringevano a cambiare maschera: il «gran<br />

mondo del teatro». Nella seconda parte questo è acquisito. Sappiamo, in<br />

fondo, che tutti recitano: allora che dire di più? Possiamo forse distruggere<br />

questo sistema di finzioni? No, certamente no, e se qualcuno si era illuso<br />

che Don Chisciotte fosse il santo perfettamente sincero, in grado di far<br />

saltare le maschere della più variegata gamma di attori sociali, ebbene si è<br />

sbagliato.<br />

Un'unica cosa possiamo fare: distinguere tra le finzioni e le recite, tra chi è<br />

costretto a indossare una maschera per vivere (e dunque sa benissimo cosa<br />

sia il gran teatro del mondo e cosa sia la dura realtà) e chi invece recita<br />

superficialmente, ma non lo sa, ha scambiato la finzione per vita sostanziale<br />

e passa da una rappresentazione all'altra, per divertimento. Come i Duchi.<br />

C'è una bella differenza tra Ricote, che si finge pellegrino per tornare in<br />

patria, e il Duca, che... si finge duca e vive senza alcuna traccia di<br />

responsabilità e senso delle istituzioni.<br />

Così, se Don Chisciotte finge e racconta bugie, è perché non ha altro<br />

rimedio per poter ancora essere Don Chisciotte in un mondo che non gli<br />

consente di dire, a chi ha deciso la pulizia etnica, che San paolo era un<br />

converso <strong>com</strong>e mille perseguitati spagnoli, o che lui e Sancio Panza e mille<br />

altri non sanno che farsene della pulizia di sangue, o che il finto burattinaio<br />

Maese Pedro (in realtà vero galeotto Ginés de Pasamonte) è molto più

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