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don chisciotte pagina 90<br />
essere magniloquente; perciò i problemi sono due: che il libro sia veridico e<br />
che la veridicità sia <strong>com</strong>patibile con un modello di stile.<br />
Un altro elemento che falsifica la verità storica di un racconto è la cultura<br />
del suo autore: la sua tradizione, l'identità etnica, agiscono anche al di là<br />
delle buone intenzioni. Per il cristiano questo è evidente nel caso in cui<br />
l'autore sia un arabo; ma questo svela immediatamente che il pregiudizio è<br />
reciproco e sono altrettanto prevenuti i cristiani quando parlano dei mori:<br />
saputo che l'autore della sua storia è il moro Cide Hamete Benengeli, Don<br />
Chisciotte è preoccupato, perché «dai mori non ci si poteva attendere<br />
nessuna verità». La storiografia si trova coinvolta in questi pregiudizi<br />
incrociati, risultando credibile o non credibile a priori, per ideologia.<br />
Infine, il giudizio dei lettori non è mai univoco. Chiedendo quale delle sue<br />
imprese sia la più apprezzata, Don Chisciotte si sente dire che per alcuni è<br />
l'avventura dei mulini a vento, per altri quella del corpo morto, e così via. Il<br />
pubblico sottopone l'opera a un giudizio dettato dal suo gusto, e l'autore<br />
potrebbe essere portato a tenerne conto, decidendo cosa scrivere o non<br />
scrivere in base alle opinioni dominanti.<br />
Per Don Chisciotte, la veridicità della storia non richiede un'eccessiva<br />
descrizione dei particolari: le innumerevoli legnate da lui prese l'autore<br />
avrebbe potuto tacerle «per brevità». Sembra invece che Cide Hamete<br />
Benengeli abbia seguito un altro criterio, indugiando eccessivamente sui<br />
dettagli nell'episodio della locanda di Maritornes. Don Chisciotte pensa che<br />
non vi sia ragione di descrivere azioni che non cambiano la verità storica, se<br />
esse servono solo a svilire la figura del protagonista. Così, di fatto, la verità<br />
storica è il risultato di un processo di idealizzazione:<br />
«Le azioni che non mutano né alterano la storia non c'è ragione di<br />
scriverle, se debbono procurare un ridondante disprezzo per il signore<br />
della storia. In verità non fu così pio Enea <strong>com</strong>e lo descrive Virgilio,<br />
né così prudente Ulisse, <strong>com</strong>e lo descrive Omero» [DQ, II, 3].<br />
Dal <strong>com</strong>plesso dei fatti avvenuti l'autore deve operare una semplificazione<br />
che condurrebbe ad avere <strong>com</strong>e protagonista non una persona, con la sua<br />
<strong>com</strong>plessità e le sue contraddizioni, ma un tipo, uno stereotipo adeguato a<br />
un modello di ovvio valore ideologico.<br />
Sansone Carrasco risponde con una tesi diversa e più precisa: distingue tra<br />
poesia e storiografia e sostiene che l'idealizzazione appartiene solo alla<br />
prima, adottando un punto di vista umanistico:<br />
«Un conto è scrivere <strong>com</strong>e poeta, un altro <strong>com</strong>e storico: il poeta può<br />
narrare o cantare le cose non <strong>com</strong>e avvennero, ma <strong>com</strong>e avrebbero<br />
dovuto essere; e lo storico le deve descrivere non <strong>com</strong>e avrebbero<br />
dovuto essere, ma <strong>com</strong>e avvennero, senza aggiungere né togliere nulla<br />
alla verità» [DQ, II, 3].<br />
«Senza aggiungere né togliere nulla» è il programma dichiarato da Cide<br />
Hamete, dal Narratore e dal Traduttore, anche se poi nessuno sembra<br />
rispettarlo realmente. Ciò segnala che l'idea teorica esposta da Carrasco è