don chisciotte pagina 108 nati in Spagna, cittadini naturali di quella terra, e a volte buoni cattolici. La giovane è la figlia di Ricote, si chiama Ana Félix, e ha lasciato in terra araba il fidanzato mascherato da donna. Si cercherà di recuperarlo con l'aiuto di un finto rinnegato, in questa città dove la realtà risulta più avvincente della fantasia, e pertanto è più ambigua. Ci si avvia all'epilogo. È ancora un falso cavaliere, una vecchia conoscenza, a sciogliere l'intreccio: Sansone Carrasco stavolta riesce nel suo scopo di battere Don Chisciotte e riportarlo nel suo paese. A Sancio sembra che si tratti di un sogno, di un incantesimo, e invece è l'esatto contrario: una fantasia che si dissolve, l'illusione svanita di giocare alla grande sulla roulette del destino. O più semplicemente è qualcosa che sembra la verità. Il falso Cavaliere della Luna, e vero Carrasco, vive una realtà diversa da quella in cui aveva camminato Don Chisciotte; così <strong>com</strong>e Ana Félix, le autorità barcellonesi che consentono alla donna morisca e a suo padre di restare in Spagna: tratteranno la faccenda nella capitale, e ne verranno a capo, grazie alle amicizie o ai regali. Così va il mondo, non certo perdendo il tempo e i giorni su un ronzino dimagrito, e le notti sognando una dama inesistente. «Non c'è fortuna nel mondo», conclude Don Chisciotte, «ognuno è artefice della propria sorte. Io lo sono stato della mia». «Mi sono arrischiato; ho fatto quel che ho potuto». Questo colloca Don Chisciotte in una categoria di persone molto diversa da quella a cui appartengono i Duchi, dei quali il saggio Cide Hamete Benengeli dice che «per conto suo reputa che siano pazzi i beffatori quanto i beffati, e che i duchi non erano due dita lontani dal sembrare stolti, visto che mettevano tanto impegno nel burlarsi di due stolti» [DQ, II, 70]. Saggio giudizio di un uomo, un personaggio, che, se fosse esistito veramente, in quegli anni non avrebbe potuto vivere in Spagna. La morte, che tutto eguaglia, forse, fa cessare la <strong>com</strong>media, la recita, l'interpretazione. Per chi, <strong>com</strong>e Don Chisciotte, ha dovuto inventarsi per essere, la morte è la fine del gioco. È difficile che un Duca, un Curato, un Barbiere... possano gettare la maschera, perché in fondo non sanno di averla addosso: l'hanno indossata da troppo tempo, si sono abituati, e scambiano la loro finzione con la realtà. Moriranno falsi, così <strong>com</strong>e sono vissuti, convinti di essere nel vero. A meno che un Don Chisciotte non li coinvolga nel suo gioco. Mostrando che tutti recitano, certamente. Un erudito, un moralista, un uomo pieno di sé, diranno, strappando qualche applauso <strong>com</strong>piaciuto, che è il gran teatro del mondo. Paghi di questa banalità, ometteranno l'essenziale: che c'è chi finge, perché non ha altra scelta per sopravvivere, e c'è chi, per dirla col <strong>com</strong>ico, finge perché è «bastardo dentro».
Indice Introduzione 5 Il prologo del romanzo 18 Ritratto di don Chisciotte 28 L’avventura 40 L’investitura cavalleresca 49 Marcela e Maritornes 56 I galeotti 74 Falsificazioni 87 Benedetto Allà! 97 La grotta di Montesinos 102 Barcellona 107