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don chisciotte pagina 51<br />

vuole restaurare la cavalleria del passato; dall'altra, la sua concezione della<br />

cavalleria è diversa da quella che ne hanno i nobili cavalieri a lui<br />

contemporanei. Ciascuno è figlio delle sue opere, dice l'idalgo, ma nel<br />

sistema del tempo ciascuno era figlio del suo sangue: la nascita determinava<br />

irrevocabilmente lo stato sociale, e già fin dai tempi di Juan Manuel veniva<br />

rac<strong>com</strong>andato di restringere l'accesso alla cavalleria, escludendo chi non<br />

fosse già nobile (quantomeno idalgo).<br />

Ci si potrebbe allora domandare: Don Chisciotte è matto quando parla di<br />

cose cavalleresche, ma è prudente e assennato (secondo i suoi interlocutori)<br />

quando parla di tutto il resto; ebbene, <strong>com</strong>e dobbiamo giudicarlo quando<br />

dice che ciascuno è figlio delle sue opere? Assennato? Allora abbiamo un<br />

bel problema, perché si tratta di una questione di cavalleria, che mette in<br />

crisi la concezione che della cavalleria stessa aveva la cultura dominante.<br />

Matto? Allora abbiamo una gran bella chiave di lettura, un fascio di luce sul<br />

modo in cui la sua pazzia rivela la pazzia altrui, perché il matto Don<br />

Chisciotte stavolta avrebbe ragione: ciascuno è veramente figlio delle sue<br />

opere, e matti sono i razzisti che ritengono il contrario.<br />

All'epoca, solo gli umanisti e i riformatori pensavano che ciascuno dovesse<br />

essere giudicato per il suo valore personale, per le sue opere, in opposizione<br />

alla concezione dominante delle caste e della pulizia del sangue.<br />

Paradossalmente, ma non troppo, l'ideologia conservatrice e tradizionalista<br />

di Don Chisciotte convive con una <strong>com</strong>ponente progressista che gli deriva...<br />

da dove? Intendo a lui <strong>com</strong>e personaggio, non a Cervantes. Sembra logico<br />

pensare che gli derivi dal medioevo, quando si poteva diventare cavalieri<br />

indipendentemente dalle condizioni di nascita, per il proprio valore<br />

guerriero; quel medioevo spagnolo multietnico, in cui la differenza di razza<br />

era una diversità e non un crimine e in cui i cristiani non erano divisi in<br />

«vecchi» e «nuovi». Gli viene da quel medioevo plurale, direttamente o<br />

indirettamente condizionato dalla presenza araba, distrutto da un progetto<br />

anomalo di modernizzazione, basato su assolutismo, razzismo,<br />

fondamentalismo religioso (cristiano), intolleranza; una vera e propria<br />

modernità reazionaria.<br />

La pazzia di Don Chisciotte non è qui in discussione. Consiste infatti<br />

nell'idiozia di voler restaurare la cavalleria (sentendosi a ciò destinato), in<br />

un mondo in cui tutti coloro che si dicono cavalieri non si <strong>com</strong>portano <strong>com</strong>e<br />

tali. Questo è un pensiero da matto, e non si discute. Scopriamo però che, se<br />

tutti parlano della cavalleria, tributandole un ossequioso omaggio, Don<br />

Chisciotte ne parla in modo diverso. Dunque, prima di mettere in pratica e<br />

restaurare, bisognerà mettersi d'accordo su cosa sia la cavalleria. Don<br />

Chisciotte penserà sempre, da matto, che il suo progetto è possibile e<br />

auspicabile, ma presto si renderà conto che urta contro le aspettative, i<br />

pregiudizi, gli interessi di molti. Egli è il predestinato, ma non è l'accolto,<br />

anzi si muove in una linea conflittuale con la mentalità dominante. La sua<br />

vicenda, prima di essere metaforica, è ironica: fa emergere il vero volto<br />

della società, superficialmente coperto di belle parole.

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