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don chisciotte pagina 93<br />
monte, nel credere che vi siano principesse nel Toboso, che possano arrivare<br />
alla sua presenza, e dunque esige che arrivino effettivamente nel modo in<br />
cui arriva una principessa: se non ha i capelli d'oro e i denti d'avorio, <strong>com</strong>e<br />
minimo deve trattarsi di un incantesimo - ma che non li abbia, Don<br />
Chisciotte le vede benissimo.<br />
Attraverso questa straordinaria architettura <strong>com</strong>positiva il mondo - quello<br />
reale, quello che nel romanzo rappresenta la realtà esterna alla scrittura -<br />
rivela la sua vera natura di grande finzione. La teatralizzazione delle vicende<br />
permette di intuire che il mondo è già teatro. Ma non è solo teatro:<br />
l'ideologismo, i pregiudizi, le finzioni, la dedizione a false cause, la<br />
presunzione, il fasto del potere, lo hanno reso teatro perché hanno gettato<br />
una scenografia di cartapesta sulla scena sociale e hanno cercato di occultare<br />
tutto ciò che non era coerente coi i ruoli prestabiliti. Il gran teatro del mondo<br />
ha cercato di nascondere il problema dei moriscos espulsi, il banditismo in<br />
Catalogna, il carattere di singolari perdigiorno nullafacenti che caratterizza<br />
la nobiltà... i Duchi gestiscono un potere enorme, e Cervantes non li ritiene<br />
degni nemmeno di avere un nome proprio: sono una categoria, una<br />
funzione, un ceto irresponsabile ma potente della società. È ovvio che<br />
questo occultamento non funzioni; nel teatro del mondo, contro ogni<br />
aspettativa del capo<strong>com</strong>ico, qualcuno entra recitando a soggetto e<br />
s<strong>com</strong>paginando le parti con l'ironia: si urta la testa sui piedi dei banditi<br />
impiccati sugli alberi, alle porte di Barcellona, o si scopre che persino<br />
Sancio Panza sarebbe un governatore migliore di tanti altri che affliggono la<br />
Spagna. Contemporaneamente sembra s<strong>com</strong>parire quella sfera ideale,<br />
rappresentata ad esempio da Marcela: o <strong>com</strong>unque il suo ruolo si<br />
ridimensiona, ora che è la realtà stessa a fare da contrappeso alle illusioni<br />
del Cavaliere e alle ideologie più diffuse.<br />
Continua a restare sullo sfondo, chiaramente percepibile, il conflitto etnico,<br />
il problema delle caste e della nobiltà di sangue, condito dall'ironia pungente<br />
verso l'arroganza dei vecchi cristiani: Don Chisciotte si schiererà a favore di<br />
una classe nobiliare selezionata in base alle virtù personali anziché in base<br />
al diritto di nascita (ha, d'altronde, un innegabile interesse personale in<br />
questo). Ma anche qui andrebbe affinata l'analisi: una nobiltà non di sangue<br />
non significa forse che anche un Sancio Panza potrebbe diventare<br />
governatore? Sancio, effettivamente, si sente capace di reggere regni e<br />
governare insule, così <strong>com</strong>e molti nostri insulsi contemporanei pensano che,<br />
se ci fossero loro al governo, le cose andrebbero meglio. Sansone Carrasco<br />
lo richiama alla modestia: il potere trasforma, fa dimenticare le belle<br />
intenzioni fino al punto di non riconoscere la propria madre. Ridicola la<br />
risposta di Sancio: non sarà così «con quelli che hanno sull'anima quattro<br />
dita di lardo di cristiano viejo <strong>com</strong>e li ho io» [DQ, II, 4]. Come dire:<br />
mettetemi al governo e vedrete cosa so fare. Ironico il <strong>com</strong>mento di Don<br />
Chisciotte: «Che Dio lo faccia [...] e si vedrà quando verrà il governo».<br />
Secondo un radicato pregiudizio dell'epoca, essere contadino garantiva,<br />
grazie all'ignoranza, un'ascendenza etnicamente pulita: questa era sufficiente<br />
per poter svolgere qualunque incarico per ignoranti <strong>com</strong>e Sancio, di cui<br />
Cervantes si beffa più volte.