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don chisciotte pagina 89<br />
quegli il soldato, un altro il discreto, un altro ancora l'innamorato<br />
sciocco, e terminata la <strong>com</strong>media, smessi i loro vestiti, tutti i recitanti<br />
risultano uguali. [...] Ebbene, lo stesso [...] accade nella <strong>com</strong>media e<br />
nelle relazioni di questo mondo, dove alcuni fanno gli imperatori, altri<br />
i pontefici, e insomma tutte quante le figure che si possono introdurre<br />
in una <strong>com</strong>media: ma appena si arriva alla fine, che è quando finisce la<br />
vita, la morte toglie a tutti gli abiti che li differenziano, e risultano<br />
uguali nella tomba» [DQ, II, 12].<br />
Sono dunque gli abiti a differenziarci, cioè le apparenze e il loro significato<br />
sociale; non sono le qualità, che poi dovrebbero giustificare le differenze<br />
d'abito. È un'inversione che fa il paio con l'altra: tutte le figure che si<br />
possono introdurre in una <strong>com</strong>media sono presenti nel mondo. L'ordine<br />
naturale vorrebbe che le figure presenti nel mondo, proprio perché esistono,<br />
sono suscettibili di essere rappresentate; qui invece, paradossalmente, in<br />
quanto si può introdurla in una <strong>com</strong>media, una figura è presente anche nel<br />
mondo: l'espressione di Don Chisciotte, con il suo aspetto singolare, dà una<br />
forte sottolineatura dell'essenza teatrale di ogni ruolo sociale. Alla<br />
disuguaglianza tra i personaggi non corrisponde una pari disuguaglianza<br />
nelle persone. Se la morte mette fine a un ruolo, nel senso del rôl teatrale,<br />
bisogna porre una domanda cruciale: chi è che gli aveva dato inizio? La<br />
persona in carne e ossa consiste solo in questo ruolo (ovvero è soltanto un<br />
prodotto sociale), oppure ha essenzialmente una sua intimità, una sua<br />
personalità irriducibile al rôl che si ritrova a interpretare? La sua vita si<br />
identifica o no con la parte che interpreta socialmente? E infine: nella<br />
società, nel gran teatro del mondo, chi è il capo<strong>com</strong>ico?<br />
Vi è poi un tema strettamente connesso a questo della teatralità: se tutti<br />
recitano, dov'è la verità? <strong>com</strong>e si può conoscerla? <strong>com</strong>e si può ottenere<br />
l'interpretazione autentica degli atti altrui? È un'altra questione cruciale, ma<br />
risulta più semplice affrontarla trattando prima un problema simile a<br />
apparentemente più limitato: fino a che punto è affidabile, nel senso di<br />
veritiero, un testo scritto, una storia?<br />
C'è nel romanzo un ridículo razonamiento tra Don Chisciotte, Sancio Panza<br />
e Sansone Carrasco, durante il quale i nostri eroi sono informati che esiste<br />
un libro che narra la loro storia [DQ, II, 3]: è una discussione in cui si<br />
dicono cose tutt'altro che ridicole, e si riposizionano i personaggi nella<br />
nuova prospettiva su cui si regge la seconda parte del romanzo.<br />
È un libro strano, pensa Don Chisciotte, questo che è stato scritto su di lui -<br />
e che lui non avrà modo di leggere. Non sa (e non lo sappiamo neanche noi)<br />
se l'autore è un mago sapiente e, nel caso, se gli è amico o nemico. Se è<br />
amico, esalterà le sue imprese; se ostile, le svilirà: dunque, simpatia e<br />
ostilità sono entrambe pregiudizi che inquinano la veridicità del racconto<br />
storico, del testo scritto, rendendolo inaffidabile e insicuro, bisognoso di<br />
interpretazione. E anche ammesso che un autore sia obiettivo, bisogna fare i<br />
conti con le convenzioni letterarie proprie del genere in cui si colloca la<br />
scrittura: per Don Chisciotte, un libro sui cavalieri erranti deve «per forza»