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don chisciotte pagina 67<br />
punto di vista teatrale è, ancora una volta, quello che trasforma i personaggispettatori<br />
in personaggi-attori, attivi, che recitano le loro maschere e le loro<br />
nevrosi. È una <strong>com</strong>media degli equivoci: Sancio Panza, uomo di sano e<br />
prosaico realismo, giungerà a credere di trovarsi in un posto incantato,<br />
perché non vede da chi gli piovono addosso le botte che riceve, e si riterrà<br />
percosso dai diavoli o da più di quattrocento mori. Sancio esperimenta ciò<br />
che forse già pensava, se era superstizioso <strong>com</strong>e tutti i contadini: che nel<br />
mondo accadono cose inspiegabili, che obbligano a ricorrere alla figura<br />
folclorica del moro incantatore.<br />
La zuffa nasce dal fatto che Don Chisciotte trattiene Maritornes,<br />
puttana/castellana, che egli crede intenzionata a concedergli le sue grazie<br />
per amore: la cosa è impossibile, perché il casto e cortese cavaliere non può<br />
venir meno alla fedeltà verso la sua dama Dulcinea, signora del suo cuore. Il<br />
carrettiere, che intanto aspettava Maritornes per più prosaici sviluppi, nella<br />
grande stanza buia dove tutti dormono, interviene contro l'importuno<br />
cavaliere, scatenando una solenne scazzottata al buio e alla cieca.<br />
L'improvvisa <strong>com</strong>parsa di uno sbirro, in un poco dignitoso desabillé, non<br />
potrebbe allora essere l'apparizione del moro incantatore? Sancio <strong>com</strong>incia<br />
ad avere il sospetto che Don Chisciotte sia al centro di eventi prodigiosi: in<br />
fondo, quando poco dopo il Cavaliere prepara un balsamo miracoloso, con<br />
una ricetta di pura invenzione, a lui fa effetto e a Sancio no.<br />
Maritornes è <strong>com</strong>unque una ragazza di buon animo e <strong>com</strong>passionevole:<br />
paga di tasca sua un po' di vino per rinfrancare il povero Sancio, smantellato<br />
su per aria da loschi figuri (o forse incantatori), «perché infatti si dice di lei<br />
che, pur occupandosi di quel mestiere, avesse qualche un'ombra di<br />
cristianesimo» [DQ, I, 17]. Messa da parte la deformazione imposta dalla<br />
farsa, è una persona abbastanza normale e capace di <strong>com</strong>passione: insomma,<br />
un personaggio reale che non merita condanna, non merita censura, né<br />
oblio, anche se certo non adempie tutti i doveri imposti dall'istituzione<br />
ecclesiastica.<br />
E d'altronde non sembra che Cervantes sia tenero verso questa istituzione. O<br />
almeno, Don Chisciotte, al di là delle sue rituali dichiarazioni di principio,<br />
allineate alle verità ufficiali della casta cristiano-vieja, ha verso la Chiesa un<br />
atteggiamento a dir poco ambiguo. Nel diciannovesimo capitolo della prima<br />
parte, dopo una penosa serie di avventure tutte con esito negativo,<br />
finalmente i nostri due eroi <strong>com</strong>binano qualcosa di buono e riescono persino<br />
a mangiare. La cosa avviene a spese di un gruppo di chierici non proprio<br />
coraggiosi, e non cessa di destare stupore che proprio figure così venerande<br />
mostrino una cattiva immagine di sé nell'incontro col folle cavaliere.<br />
Naturalmente, un romanziere non è tenuto a rispettare le convenzioni sociali<br />
dentro una vicenda di fantasia, ma sembra che Cervantes usi di questa<br />
libertà <strong>com</strong>e meglio può.<br />
I chierici viaggiano nella notte trasportando un cadavere: nella buia e<br />
deserta campagna della Mancia hanno tutto l'aspetto di un'apparizione<br />
ultramondana. Tratta dal consueto repertorio della letteratura cavalleresca,<br />
l'avventura del corpo morto è magistralmente stravolta da Cervantes e