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don chisciotte pagina 41<br />

fama: un'avventura che non porti fama è inconcepibile. Coerentemente, Don<br />

Chisciotte desidera essere il protagonista di una storia scritta, cioè si attende<br />

che qualche sapiente mago scriva il racconto delle sue imprese. Più ancora:<br />

con la beata ingenuità del matto, dà per scontato che questo accadrà, nel<br />

momento stesso in cui si mette in cammino, tanto che immagina lui stesso<br />

l'incipit del libro che racconterà le sue imprese, ricalcando lo stile letterario<br />

dei testi cavallereschi:<br />

«Chi dubita che nei tempi futuri, quando verrà alla luce la vera storia<br />

delle mie imprese [che non ha ancora iniziato a <strong>com</strong>piere] che il<br />

sapiente che le scriverà, arrivando al racconto di questa mia prima<br />

uscita, così mattiniera, non lo farà in questo modo: Aveva appena il<br />

rubicondo Apollo...» [DQ, I, 2].<br />

Che si scriva su di lui pare infatti inevitabile: deve restaurare la cavalleria,<br />

può farlo solo con l'avventura, questa procura la fama, la fama implica un<br />

sapiente che scriva un libro: così è sempre avvenuto. Il libro è celebrativo e<br />

conferma la validità dell'intero cammino; i famosos fechos che ne saranno la<br />

trama verranno certamente: nella sua immaginazione, Don Chisciotte è già<br />

protagonista di un romanzo di cui immagine anche lo stile letterario. Anche<br />

in questo è anacronistico, perché di fatto il testo di Cervantes è scritto in un<br />

altro modo, che probabilmente non piacerebbe a Don Chisciotte: all'inizio<br />

della seconda parte, il cavaliere viene informato del fatto che è stato<br />

pubblicato un volume sulle sue imprese, ma che si tratta della traduzione<br />

della storia scritta da un autore arabo scarsamente affidabile.<br />

Questa pretesa di protagonismo è sbeffeggiata dal Narratore, che la<br />

considera un segno di follia, e mette in dubbio la sincerità del personaggio.<br />

Secondo il Narratore, Don Chisciotte continua a dire «<strong>com</strong>e se fosse<br />

veramente innamorato: Oh principessa Dulcinea...» [DQ, I, 2]. Dunque, per<br />

il Narratore, non è innamorato? Certo che non lo è: forse l'unico punto<br />

sicuro del romanzo è che non ama Dulcinea. Ne ha bisogno, perché per<br />

essere cavaliere occorrono un cavallo, un'armatura e una dama. Il cavallo ce<br />

l'ha; l'armatura la rimedia; la dama la inventa. È un amore della volontà per<br />

un oggetto ideale in cui ha trasfigurato una persona qualunque. Gli serve<br />

<strong>com</strong>e finzione, perché la proclamazione di un amore ideale e casto è un<br />

ingrediente essenziale della vita cavalleresca; rientra nel ruolo l'avere<br />

qualcuno a cui mandare in segno di omaggio i nemici sconfitti, o da cui<br />

essere sdegnato, secondo i moduli dell'amor cortese. In una persona normale<br />

questa sarebbe una finzione; nella pazzia di Don Chisciotte viene creduto<br />

<strong>com</strong>e vero amore, almeno secondo l'interpretazione del Narratore.<br />

Don Chisciotte si procura meticolosamente tutto ciò che gli è necessario per<br />

essere cavaliere: avrà bisogno di armi limpias, cioè bianche, senza insegne,<br />

e allora provvederà lui a renderle limpias, cioè pulite, lucide; avrà bisogno<br />

di chi lo investa cavaliere, e allora prenderà il primo che capita; gli servirà<br />

un cavallo forte e famoso, e ribattezza il suo con un nome espressivo e<br />

altisonante; gli servirà un amore cavalleresco, intellettuale e convenzionale,<br />

e prende ciò che ha a portata di mano: Aldonza Lorenzo (il convento non

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