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don chisciotte pagina 33<br />

Dice il Narratore, presentando Don Chisciotte, che, essendo egli uscito<br />

ormai fuori di senno, concepì<br />

«il più strano pensiero mai concepito da un pazzo al mondo, e cioè gli<br />

sembrò conveniente e necessario, sia per accrescere il suo onore, sia<br />

per il servizio della repubblica, diventare cavaliere errante, e andare in<br />

tutto il mondo con armi e cavallo in cerca di avventure e ad esercitarsi<br />

in tutto ciò di cui aveva letto che si esercitavano i cavalieri erranti,<br />

riparando ogni genere di offese e mettendosi a volte in pericoli,<br />

superando i quali avrebbe acquistato eterno onore e fama» [DQ, I, 1].<br />

Raddrizzare i torti, proteggere le vedove e gli orfani, i deboli, era ancora il<br />

<strong>com</strong>pito affidato alla cavalleria nella retorica del tempo. Ma si trattava<br />

appunto di retorica: nella pratica, sia i <strong>com</strong>piti morali sia quelli guerrieri<br />

erano affidati ad altre istituzioni, quali l'hermandad per l'ordine pubblico e<br />

l'esercito professionale per la guerra. Per la gente che osserva Don<br />

Chisciotte, la sua idea di recuperare le funzioni giuridiche e militari della<br />

cavalleria è un evidente segnale di pazzia, cui non si può dare alcun credito:<br />

appunto il più singolare pensiero mai concepito da un matto.<br />

Però in questa pazzia è presente anche un altro aspetto. Una volta concepito<br />

il suo progetto, Don Chisciotte ritiene di essere senz'altro in grado di<br />

realizzarlo senza troppi problemi: «Il poveretto s'immaginava già coronato,<br />

per il valore del suo braccio, quantomeno dell'impero di Trapisonda» [DQ,<br />

I, 1]. E nel coltivare questa illusione provava uno «strano gusto».<br />

Non risulta che Don Chisciotte avesse mai usato prima le vecchie armi<br />

arrugginite dei suoi avi, che saranno la sua armatura di cavaliere,<br />

nondimeno, partendo in cerca di avventure, sa già che le troverà e che ne<br />

uscirà vincitore e famoso. La ricerca della gloria è certamente uno dei<br />

moventi principali del nostro eroe: vuole essere qualcuno, vuole che si<br />

dissolva la cortina di nebbia che rende vaga la sua figura, e la via che<br />

sceglie è l'impresa cavalleresca: soluzione folle a un problema che folle non<br />

è. Torrente Ballester, in un saggio piacevolissimo, ha detto che il buon<br />

Alonso (Quejada o Quesada) si annoiava <strong>com</strong>e tutti quelli che vivono in<br />

paese, e volle essere un altro. Ma<br />

«già allora la gloria <strong>com</strong>inciava a essere uno stimolo romantico e in un<br />

certo senso retorico. Cercare la gloria attraverso l'azione, in quegli<br />

anni del XVI secolo in cui viveva Alonso Quijano, ormai non veniva<br />

più in mente a nessuno. Prima, mezzo secolo prima, ai tempi<br />

dell'Imperatore [Carlo V], forse a qualcuno. A Hernán Cortés, ad<br />

esempio, che era un umanista, interessava la gloria, ma il suo parente<br />

Pizarro, che era un analfabeta, era mosso dall'interesse» 24 .<br />

24 Gonzalo Torrente Ballester, El Quijote <strong>com</strong>o juego, cit., 47.

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