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volume - Centro Documentazione Luserna

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<strong>Luserna</strong>, le antiche strade di confine e il passo di Lavarone 23<br />

zum Heusel (al casotto). Era possesso di quelli di Caldonazzo, cosa riconosciuta anche da<br />

quelli di Lavarone. Il masetto formava, come oggiun, ospizio per quelli che andavano per il<br />

Menador di Caldonazzo e per la Valle del Rio Torto in Valdastico, a Brancafora, ovvero a<br />

<strong>Luserna</strong>, o fra <strong>Luserna</strong> e Lavarone, o da Lavarone – Vezzena - Val d’Assa - Asiago e<br />

viceversa (REICH 1973, p. 146).<br />

Da Monterovere la strada seguiva il confine fra Trento e Vicenza fino alle<br />

sorgenti di Vezzena, per continuare in direzione della Val d’Assa: ma un ramo<br />

affiancava ancora il confine, piegando verso il Bisele e la Val Tora: il confine, volgendo<br />

a mattina lungo lo spigolo delle montagne, veniva a toccare le due fontanelle di Vezzena<br />

e attraverso il Bisele metteva a capo nella Val Tora, che poi seguiva fino all’Astico<br />

(MANTESE 1952, p. 420).<br />

L’ospizio di Brancafora, all’epoca un maso tedesco (NICOLUSSI MOZ<br />

2001, p. 451) 1 , aveva annessi e terreni sufficienti all’autosostentamento, creando<br />

lo status di un potere autonomo sul Monte di <strong>Luserna</strong>, un cuscinetto fisico<br />

fra Trento e Vicenza: probabilmente per questo nel 1260 veniva indicato come<br />

“districtus Luxernæ” (LORENZI 1932 : ZAMMATTEO 2001-b).<br />

A Monterovere convergevano due tratturi, menadóri, ossia tracciati destinati<br />

all’avvallamento del legname 2 . Il più importante restò sempre quello di Caldonazzo,<br />

che sfociava alla Magnifica Corte, sede della giurisdizione. Quello di Levico,<br />

un tempo popolarissimo, si imbocca al Dazio di Inghiaie e segue il Rio<br />

Bianco, il confine più antico sul fronte della Valsugana.<br />

1 Con il nome di “maso” venivano descritte le pertinenze a meridione della Curazia ancora<br />

nel 1599.<br />

2 La “menata” era la condotta a valle del legname che poteva avvenire attraverso le “risine”,<br />

sfruttando il corso dei torrenti, o con l’ausilio di forza animale. “Avvallamento”: Si utilizzavano<br />

per il trasporto a valle i ripidi canali naturali (tovi). Dove non esisteva la possibilità<br />

di aprire strade o di raggiungere i luoghi di abbattimento con carrarecce, i boscaioli costruivano<br />

canali artificiali, incassandoli nel terreno, selciandoli e rifinendoli sui fianchi con<br />

pietre robuste e lisce. Altri venivano messi in opera scegliendo un percorso, scavando un<br />

canale, rivestendolo con antenne di legno sistemate in modo che nell’incontro testa-coda<br />

non offrissero alcun ostacolo. Quando superavano torrenti, o punti di terreno mancante, i<br />

canali diventavano autentici ponti sostenuti da possenti impalcature. La loro pendenza favoriva<br />

le alte velocità di discesa. I toppi non dovevano incagliarsi, disporsi di traverso, uscire<br />

di pista. Si costruivano perciò tratti brevi con fuoriuscite a salire dove i legni rallentavano<br />

la corsa, si fermavano e per rotolamento o trascinamento con “zappino” erano risistemati<br />

in un nuovo tratto di canale. I boscaioli muniti di zappini venivano distribuiti<br />

lungo questi percorsi in modo da vedersi o da potersi udire. Con urla convenzionali o con<br />

fischi segnalavano via libera all’avvallamento o lo interrompevano in caso di pericolo o<br />

fuoriuscita dei toppi. Un vecchio documento (B.C. TN. ms. 369) così comanda: “Prima di<br />

tovezzare e di menare legni chiama trei volte ad alta voce a dover ritirarsi”. Quando la neve<br />

cadeva la si pressava lungo le “risine”e la si gelava facendovi scorrere acqua. Là dove<br />

esistevano ripide carrarecce i toppi legati con robuste catene scendevano a valle solidali ad<br />

un carro con solo avantreno, trascinandosi dietro, anche in funzione di freno, gruppi di<br />

toppi appaiati a due a due con biette legate ad anelli” (ŠEBESTA 1983, pp. 9-11).

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