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ebook numero 17 - Calomelano

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non puzzasse. Uccidere Nasi. Fuggire, magari travestito.<br />

Raggiungere il porto. Dovevo procurarmi del denaro, che in quel<br />

palazzo doveva abbondare … sì, anche quello era un problema<br />

risolvibile. Mi sarei mostrato mite. Avrei morso come una serpe in<br />

seno. Sì. Ma prima dovevo riposare. Riposare.<br />

Chiusi gli occhi e l’inanità del mio piano mi colpì alle spalle<br />

come quando, da bambini, un compagno salta fuori da dietro un<br />

angolo e fa bù!, con un soprassalto ti volgi e lo vedi sghignazzare.<br />

Mille variabili dovevano allinearsi, come una congiunzione astrale<br />

favorevole che comprendesse ogni pianeta e stella fissa. E pure se<br />

fosse andato tutto bene, se avessi raggiunto Venezia con il mio<br />

trofeo nella gerla, questo non avrebbe mutato la mia natura. Per<br />

Venezia ero solo un giudeo. Il mio posto era il ghetto. O meglio, il<br />

mio posto era sottoterra. Non al camposanto. In terra sconsacrata.<br />

E allora non importava più che mi salvassi, non era un piano di<br />

fuga ciò che mi serviva, solo la forza di agire e dimenticare me<br />

stesso con l’ultimo gesto di riscatto. Uccidere il Cane Giudeo e<br />

lasciarmi dilaniare dai suoi scherani. Dimostrarmi all’altezza<br />

dell’estremo sacrificio.<br />

La mente cessò il lavorio consapevole. Ricaddi nel dormiveglia<br />

ottuso, oscuro, popolato di voci e volti: Nordio, Arianna, mio<br />

padre. L’accento furlano di Tavosanis e quello rovigotto di Rizzi.<br />

La ruvida parlata dell’Abecassi. Lo sguardo di muta condanna del<br />

Tuota.<br />

Poi voci e volti presero corpo e figura, allineati su una scena<br />

come teatranti di commedia, maschere calate sul viso. Mi<br />

chiamavano a salire su un palco, attorno c’erano le logge che<br />

davano sul salone di Palazzo Belvedere. Io mi sforzavo, e riuscivo<br />

ad alzarmi. Volevo unirmi alle maschere, camminavo verso il<br />

proscenio, ma scoprivo di essere ancora a letto, semidormiente,

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