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Antropologia museale, n. 28-29, 2011 - Dipartimento Storia Culture ...

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vada sottovalutato, anzi, sicuramente cela aspetti estremamente<br />

interessanti, ma il discorso dei poeti (emic) sottolinea<br />

a più riprese, almeno nelle tradizioni che conosco<br />

più da vicino, che per essere considerati buoni improvvisatori<br />

non è necessario essere bravi cantori, anche se essere<br />

musicalmente dotati sia un vantaggio. Non è una<br />

regola, e la prova più evidente la si trova in Spagna. Nel<br />

trovo di Murcia, per esempio, che si sviluppa su forme<br />

musicali derivate dal flamenco, non è ammesso colui che<br />

non sa cantare. In questo caso i poeti vocalmente meno<br />

dotati usano esibirsi accompagnati da un cantaor, al<br />

quale suggeriscono i versi. Ancor più emblematico è<br />

forse il caso dei bertsolari del País Vasco; in questa tradizione<br />

poetica il repentista canta con più di 3000 melodie<br />

sulle quali improvvisare, e sarà la melodia scelta a determinare,<br />

frase per frase 3 , la metrica del testo.<br />

Il lavoro comparativo, dunque, richiede si una traduzione<br />

musicale e dei contesti performativi, ma soprattutto una<br />

traduzione testuale critica, contestualizzata. È necessario<br />

capirsi, perché è nel testo che si manifestano la genialità<br />

del poeta ed il suo messaggio, il saper fare espresso<br />

nell’hic et nunc di cui parla Macchiarella 4 . Bisogna poi<br />

stabilire quali aspetti comparare. In questo senso potrebbe<br />

essere interessante organizzare incontri tematici<br />

in cui, di volta in volta, l’aspetto centrale sia, per esempio,<br />

la forma poetica, il concetto di sfida, le situazioni<br />

performative, la relazione tra improvvisazione e musica,<br />

e così via.<br />

L’incontro di Nuoro ha sofferto in parte questo problema,<br />

sebbene l’intenzione proclamata fosse quella di<br />

iniziare a conoscersi attraverso una breve presentazione,<br />

tralasciando per il momento l’approccio comparativo. Ci<br />

si è potuti così affacciare all’improvvisazione poetica<br />

araba con interventi sulla poesia estemporanea della<br />

Tunisia e del Marocco; ad alcune tradizioni della Penisola<br />

Iberica, in particolare quelle della Catalogna, di Mallorca<br />

e delle Baleari; alle pratiche improvvisative in Argentina<br />

e Brasile per l’America Latina; per chiudere infine con le<br />

tradizioni italiane e francesi: Toscana, Lazio, Sardegna e<br />

Corsica 5 .<br />

È comunque nostra responsabilità, in quanto studiosi, ridurre<br />

le distanze traducendo i testi 6 e proponendo<br />

ascolti guidati, richiamando l’attenzione dell’ascoltatore<br />

sugli aspetti che si vuole analizzare. L’obiettivo che ci si<br />

propone è affascinante quanto ambizioso; si tratta di un<br />

lungo percorso che va affrontato con pazienza e tenacia.<br />

Più o meno al margine del dialogo scientifico è stato avviato<br />

anche un discorso “istituzionale”. Mi riferisco all’apertura<br />

dei lavori che porteranno a proporre all’UNESCO<br />

l’iscrizione dell’improvvisazione poetica come Patrimonio<br />

Immateriale dell’Umanità.<br />

Sebbene le intenzioni dichiarate dall’ente non sempre si<br />

traducono in un interesse concreto verso le comunità,<br />

tanto è vero che l’etichetta UNESCO viene spesso utilizzata<br />

come mero richiamo turistico da enti locali che non<br />

agiscono in primo luogo per il bene degli interessati, ritengo<br />

proficuo affrontare il discorso a partire dal dialogo<br />

tra ricercatori e poeti. Gli addetti ai lavori dell’UNESCO<br />

svolgono sostanzialmente funzioni politiche, diplomatiche,<br />

burocratiche, e le comunità locali corrono il rischio<br />

di diventare pedine di un gioco di potere che non le be-<br />

neficia affatto. Credo sia responsabilità del ricercatore,<br />

per quanto sia possibile, accompagnare i differenti<br />

gruppi sociali e difendere i loro interessi. Funzione implicitamente<br />

richiesta dalla stessa UNESCO, dato che la<br />

compilazione dei formulari per l’scrizione alle liste è<br />

estremamente complessa.<br />

Spesso lo sguardo del ricercatore, il mio incluso, è etereo,<br />

troppo distante dalla realtà; è giustamente critico di<br />

fronte a certi meccanismi globali eticamente discutibili,<br />

ma se tali meccanismi sono inevitabili, è preferibile che il<br />

ricercatore ne faccia parte, vegliando così sugli interessi<br />

dei protagonisti. Per questa ragione condivido totalmente<br />

le parole di Pietro Clemente, quando sottolinea<br />

che l’obiettivo è lavorare lentamente e bene.<br />

Per lavorare bene bisogna incontrarsi, conoscersi, fare ricerca.<br />

Il documento che è stato presentato, e di cui parlerò<br />

a seguire, è semplicemente una bozza, una dichiarazione<br />

di intenti. Alla fine dell’incontro è stata richiesta<br />

la firma dei partecipanti con l’unico scopo di formalizzare<br />

l’impegno a continuare il lavoro iniziato.<br />

Sebbene il testo non fosse definitivo, ho voluto evitare di<br />

apporre la mia firma sul documento in nome di una comunità<br />

che in nessun momento mi ha scelto come suo<br />

rappresentante. Forse il mio sentire è dettato da un eccesso<br />

di zelo in quanto giovane ricercatore, tuttavia mi è<br />

parsa la soluzione più sensata.<br />

Pochi giorni dopo l’incontro di Nuoro mi sono recato in<br />

Argentina – dove sto continuando la ricerca sul campo –<br />

ed ho affrontato coi payadores l’argomento, mettendoli<br />

al corrente del progetto coordinato dall’Italia. Così facendo<br />

sono venuto a conoscenza del fatto che la<br />

Segretería de Cultura de la Nación dell’Argentina (corrisponde<br />

al Ministero per i Beni Culturali italiano) sta avviando<br />

la pratica di patrimonializzazione per la payada<br />

rioplatense su richiesta degli stessi payadores.<br />

David Tokar, giovane payador della provincia di Buenos<br />

Aires, insieme al suo collega Luis Genaro, collabora stabilmente<br />

con l’Intendente alla Cultura del suo paese. Da<br />

questa collaborazione – che si concretizza con performance<br />

periodiche nell’ambito di alcuni atti ufficiali cittadini<br />

– e dall’intenzione di trovare fondi per garantirne la<br />

continuità, nasce l’idea di presentare la payada di San<br />

Vicente come bene di interesse locale. La pratica avvia<br />

così una serie di contatti che porta a due antropologhe,<br />

Marian Moya e Monica Lacarrieu, docenti universitarie e<br />

collaboratrici della Segretería de Cultura. Nei prossimi<br />

giorni è in programma una riunione tra le due parti nella<br />

quale i payadores dovranno stilare un documento da<br />

loro approvato e a partire dal quale andranno compilati<br />

gli inventari. Informerò nella prossima occasione di incontro<br />

sull’avanzamento dei lavori, con lo scopo di introdurre<br />

la dichiarazione argentina all’interno del programma<br />

internazionale che si sta avviando. Al momento<br />

entrambe le parti hanno dato la loro approvazione per<br />

unirsi al progetto.<br />

Tale situazione pone comunque l’accento sulle difficoltà<br />

che comporta la coordinazione di una dichiarazione internazionale<br />

alla quale andranno ad aggiungersi eventuali<br />

progetti locali in corso, i quali, prima di tutto, devono<br />

essere individuati, valutati ed eventualmente incorporati.

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