Antropologia museale, n. 28-29, 2011 - Dipartimento Storia Culture ...
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produrre culture<br />
produrre culture ai tempi dell’UNESCO<br />
Quando nel 2003 l’UNESCO portò a conclusione il lungo iter di lavori che ha prodotto la stesura definitiva<br />
della Convenzione per la Salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale, pochi in Italia, tra gli antropologi<br />
che si occupavano di beni culturali, guardavano alle politiche patrimoniali unescane come ad un terreno<br />
importante di indagine antropologica e di azione sociale per le politiche culturali – locali e non – relative<br />
al patrimonio. In quegli anni nel nostro angolo di mondo, <strong>Antropologia</strong> Museale vedeva la luce<br />
come rivista e fin dal suo primo numero aveva iniziato a presentare alla comunità antropologica gli elementi<br />
di un dibattito incentrato sui processi di patrimonializzazione al quale hanno partecipato alcuni fra<br />
i più attivi e impegnati antropologi italiani e che nel corso di questi ultimi dieci anni è fortemente maturato<br />
aprendosi agli scenari globali della patrimonializzazione rappresentati dalle politiche dell’UNESCO.<br />
Nella pratica etnografica era stato il lavoro critico di Berardino Palumbo sulla Sicilia Sud-orientale (L’Unesco<br />
e il campanile è stato pubblicato proprio nello stesso anno della stesura della Convenzione) ad aver focalizzato<br />
l’attenzione sui processi di patrimonializzazione e più nello specifico sui rapporti tra comunità locali<br />
e procedure transnazionali della patrimonializzazione legate al “patrimonio mondiale”, indicati come<br />
terreno di conflitto, di trasformazione, ma anche come luogo creativo di immaginazione patrimoniale.<br />
Dopo la ratifica italiana della Convenzione nel 2007 – un momento che ha rappresentato per Simbdea<br />
un’occasione di forte dialogo con la società civile e con le istituzioni – l’interesse della comunità antropologica,<br />
come anche le azioni culturali relative a quello che comunemente chiamiamo oggi “patrimonio culturale<br />
immateriale”, sono cresciuti. In Italia, tuttavia, il dibattito sull’immateriale, nelle sue diverse accezioni<br />
di intangibile/volatile, era presente nei nostri studi ben prima della stesura della Convenzione, ed ha<br />
rappresentato il “naturale” esito contemporaneo degli studi di tradizioni popolari, con importanti momenti<br />
di incontro con il mondo delle istituzioni, sia a livello regionale, nelle esperienze di regioni come<br />
Lombardia, Lazio o Piemonte, che nazionale, con l’esperienza della catalogazione dei beni demoetnoantropologici.<br />
Il confronto con altre realtà nazionali, come il Brasile, che è qui presente con due saggi, dove<br />
già da tempo si dialoga con le politiche unescane e la Costituzione riconosce il patrimonio “intangibile”,<br />
risulta particolarmente importante per collocarci in uno scenario mondiale delle politiche del patrimonio<br />
al quale risulta impossibile sottrarsi.<br />
Appare oggi sempre più evidente quanto siano densi gli scenari di immaginazione (che Palumbo definisce<br />
“tassonomie globali”) costruiti dall’UNESCO su scala mondiale, intorno ai quali (e a volte contro i quali) comunità<br />
e soggetti diversi, su scala locale e nazionale, sempre più si confrontano con azioni politiche e culturali.<br />
Ad attivare tali dinamiche è stata soprattutto l’istituzione da parte dell’UNESCO delle cosiddette “liste<br />
rappresentative” – oggi fortemente discusse in seno alla stessa UNESCO – uno strumento che, contrariamente<br />
a quelli che erano i suoi obiettivi originari, ha attivato un’arena complessa di competizioni, ridefinizioni<br />
culturali, manipolazioni, conflitti, ma anche esperienze di rete e di dialogo transculturale, che<br />
hanno visto le comunità attivarsi per ottenere un riconoscimento internazionale da molti considerato prestigioso<br />
e utile ai fini di una promozione del proprio territorio, ma che costringe anche ad una complessa<br />
negoziazione con il filtro che i singoli stati pongono alle richieste stesse di iscrizione, con tutto ciò che comporta<br />
in termini di conflittualità e competizione.<br />
In dialogo ed in continuità con i suoi primi numeri, i saggi presentati in questo numero di <strong>Antropologia</strong><br />
Museale vogliono restituire questo panorama di complessità; e lo fanno attraverso una serie di tematiche<br />
che si presentano come un filo rosso nei diversi saggi. Tra questi, la forte contraddizione che emerge dalle<br />
politiche di “oggettivazione culturale” unescane, tra il riconoscimento della diversità culturale come ricchezza<br />
da salvaguardare in uno scenario mondiale di pluralismo culturale e le pratiche burocratiche omologanti<br />
che, come linguaggi globali si impongono in questa nuova arena mondiale di identità e con i quali<br />
stati nazionali e comunità sono in qualche modo costretti a fare i conti. Diverse sono le scene ed i retroscena<br />
che si producono in tale nuovo spazio di azione culturale, dove si muovono interessi nazionali, locali,<br />
competenze specialistiche e rivendicazioni, materiali e “immateriali”, di diversi soggetti collettivi. In<br />
questo scenario va ricollocata la competenza antropologica e un sapere specialistico che se in Italia fatica<br />
ad essere riconosciuto nelle istituzioni e richiede da parte nostra azioni compatte per mantenere e definire<br />
un profilo, sta invece trovando importanti occasioni di dialogo e di lavoro nelle esperienze di rete che<br />
si stanno creando nel mondo delle associazioni; laddove nel campo delle politiche culturali a livello mondiale<br />
si assiste invece alla crisi delle competenze accademiche e specialistiche a favore di pratiche sempre<br />
più partecipative. Se per l’antropologo si aprono spazi sempre più interessanti per l’osservazione etnografica<br />
di nuovi scenari della patrimonializzazione, dall’altro la forte vicinanza con le istanze che provengono<br />
dalla società civile richiedono, anzi impongono all’antropologo che si cali nelle politiche culturali prendendo<br />
posizione, mediando, negoziando competenze, lavorando come operatori culturali, a volte difen-<br />
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