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Antropologia museale, n. 28-29, 2011 - Dipartimento Storia Culture ...

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13 - Convenzione per la<br />

Salvaguardia dell’Eredità<br />

Culturale Intangibile,<br />

adottata dall’UNESCO alla<br />

sua 32a Assemblea Generale<br />

nel 2003; Meeting di esperti<br />

UNESCO-ACCU sul<br />

coinvolgimento della<br />

Comunità nella Salvaguardia<br />

dell’Eredità Culturale<br />

Intangibile, Tokyo, 13-15<br />

marzo 2006.<br />

14 - Bhabba, Hommi (1988),<br />

“The commitment to<br />

theory”, London, Lawrence<br />

& Wishart, New formations<br />

5, 5-23.<br />

56<br />

zione di un capolavoro, aggiungono un ingrediente importante alla dialettica di questi<br />

negoziati. Tutto questo ha ripercussioni positive sul posizionamento strategico delle<br />

comunità culturali nei confronti della tradizionale distorsione delle procedure adottate<br />

dalle istituzioni di salvaguardia nel processo decisionale.<br />

La questione si è estremamente politicizzata. Nel caso della legislazione brasiliana, così<br />

come nella Convenzione dell’UNESCO del 2003 13 , l’autorità della comunità culturale<br />

locale è esplicitamente invocata e riconosciuta per la preparazione e la presentazione<br />

di candidature e piani d’azione di salvaguardia. In altre parole, sono state esplicitamente<br />

e ufficialmente rinforzate l’autorità della comunità culturale locale in termini di<br />

conoscenza, la loro autodeterminazione in termini di costruzione delle strategie politiche<br />

e di decisione sulle priorità, la loro condizione di protagonismo (o almeno di partecipazione<br />

attiva) nei piani di salvaguardia.<br />

È in particolare nel caso del patrimonio culturale intangibile che il processo volto alla<br />

costruzione del patrimonio risulta complesso e spesso oggetto di conflitto e tensione,<br />

coinvolgendo mediatori culturali che sono sia interni che esterni ai gruppi sociali per i<br />

quali il bene culturale è rilevante. Esempi di tali intermediari sono: gli stessi rappresentanti<br />

delle comunità, i titolari delle cariche di “conservazione culturale”; il personale<br />

tecnico e amministrativo delle istituzioni coinvolte, gli esperti indipendenti e gli attivisti<br />

politici che partecipano alle pratiche istituzionali, come pure gli imprenditori e gli<br />

esperti di marketing interessati a sviluppare opportunità di business sulla base di queste<br />

attività. Tutto ciò viene sottoposto alla decisione dei Consigli relativi alla conservazione<br />

ed è, in un modo o nell’altro, permeato di negoziazioni. Così come le varie voci<br />

proposte per la conservazione sono diventate meno ortodosse, riguardando cioè non<br />

solo gli oggetti materiali, ma anche gli elementi intangibili, e non solo quelli di alta cultura,<br />

ma anche un crescente numero di voci che riguardano principalmente le culture<br />

popolari, più intensa e appassionata diventa la discussione sulla loro inclusione negli<br />

elenchi patrimoniali.<br />

L’esempio brasiliano suggerisce che il patrimonio culturale è diventato oggi un argomento<br />

della cultura e della politica più complesso di quanto non fosse quando venivano<br />

create le istituzioni patrimoniali. Questa complessità ha, in effetti, molto a che<br />

fare con la politica del patrimonio culturale intangibile. In altre parole, l’inclusione di<br />

beni intangibili nell’ambito della conservazione ha chiaramente svelato il fatto che i patrimoni<br />

– materiali o no – appartengono alle comunità e fanno parte dei processi culturali<br />

nei quali la vita sociale viene prodotta e trasformata. Così, è inevitabile riconoscere<br />

che l’attività di salvaguardia intesa come “politica pubblica” interferisce direttamente<br />

con i processi sociali che (1) avranno luogo nel presente, non nel passato, e che<br />

(2) sono sviluppati dalle collettività umane reali e specifiche, non dalle nazioni in senso<br />

astratto.<br />

La premessa politica sottostante alle richieste e alle controversie che si verificano in<br />

questo campo è dunque che il pluralismo culturale rappresenta la principale ricchezza<br />

da conservare e che, per mantenere la diversità culturale, la ragion d’essere di tali politiche<br />

dovrebbe caratterizzarsi come creativa e dinamica. Da un punto di vista strettamente<br />

antropologico, dall’altro lato, non sorprende che i movimenti sociali, in particolare<br />

quelli radicati nella lotta per i diritti culturali, abbiano iniziato a discutere sui “riferimenti<br />

culturali” (per definire l’oggetto in discussione così come previsto dalla<br />

Costituzione brasiliana) e sulle possibilità di inventariazione, identificazione, protezione,<br />

di rafforzamento dell’autostima, con un approccio piuttosto indipendente.<br />

Ricordando Foucault, è utile menzionare, a tale proposito, la tesi secondo la quale l’esercizio<br />

del potere genera contro-poteri: la consuetudine delle pratiche culturali non<br />

assorbe passivamente le realtà che vengono imposte dall’esterno. Le comunità culturali<br />

tendono a “reinterpretare” e a fare propri gli input esterni, inserendoli nei termini<br />

delle loro dinamiche culturali interne, spesso trasformando i segni della diversità culturale<br />

in manifestazioni di differenza in campo politico. Vorrei richiamare il distinguo<br />

fatto da H. Bhabba: “La differenza culturale – egli scrive – è un processo di significazione<br />

attraverso il quale le dichiarazioni della cultura o sulla cultura differenziano, discriminano,<br />

e autorizzano la produzione di campi di forza, riferimenti, percorribilità e<br />

capacità. (…) Il concetto di differenza culturale si concentra sul problema dell’ambivalenza<br />

dell’autorità culturale; il tentativo di dominare in nome di un primato culturale si<br />

produce solo nel momento della differenziazione” 14 .<br />

Ne consegue che, dato che la salvaguardia attiva mette in moto cambiamenti culturali<br />

che non sono totalmente prevedibili né controllabili, una sfida cruciale della conserva-

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