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Antropologia museale, n. 28-29, 2011 - Dipartimento Storia Culture ...

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dove ci si sente engaged rispetto alla natura stessa del bene in questione e rispetto al<br />

filtro dello Stato sulle candidature, ma dove ci si può anche trovare in disaccordo con<br />

i committenti sulla natura e sulle finalità del bene da catalogare.<br />

Oltre a ciò, una volta prodotte, le schede devono essere corrette e “vistate” da funzionari<br />

dello Stato (della locale Soprintendenza), il quale mantiene l’autorità ultima sul<br />

processo di inventariazione. Ciò vuol dire che se l’inventario viene compilato da locali,<br />

i funzionari dello stato possono non validare le schede non ritenendole corrette sul<br />

piano antropologico e tecnico e quindi non mandare avanti la candidatura. Come è facile<br />

immaginare tutta questa procedura, che si muove tra un centralismo burocratico<br />

statale e l’avvio di un processo di partecipazione dal basso, pone l’antropologo in un<br />

ruolo nello stesso tempo ambiguo e strategico, perché oltre a collocarlo in una posizione<br />

di osservazione privilegiata tra istituzioni e comunità, lo costringe a stare in una<br />

posizione di mezzo, tra la difesa di un profilo professionale che va a scapito della partecipazione<br />

e la difesa di una partecipazione che va a scapito di un profilo professionale.<br />

Inventari “alti”: la Dieta Mediterranea<br />

Fermo restando che è a mio avviso di fondamentale importanza iniziare ad avviare un<br />

monitoraggio etnografico delle realtà locali impegnate nelle candidature UNESCO per<br />

restituire una panoramica delle diverse dinamiche – spesso conflittuali – e delle diverse<br />

“comunità” implicate nelle candidature, può essere utile presentare due esempi tra<br />

loro estremi di inventari “ai tempi dell’UNESCO” per vedere meglio “al lavoro” le problematiche<br />

fin qui illustrate. Due casi estremi che rappresentano, da un lato un tipo di<br />

inventario totalmente prodotto “dall’alto” di una candidatura nazionale (e transnazionale)<br />

– la Dieta Mediterranea – nella quale nessun ruolo ha avuto la “comunità”, né<br />

nella proposizione della candidatura e neppure nella produzione dell’inventario; il secondo<br />

rappresenta invece un caso molto significativo di inventario commissionato “dal<br />

basso” – il Palio di Siena – che ha avuto com’è noto una storia ed un esito molto complesso<br />

entro le politiche nazionali.<br />

Partendo da una interpretazione ampia – e a mio avviso non del tutto corretta – della<br />

idea di comunità contenuta nella Convenzione del 2003 (che a ben vedere distingue<br />

le comunità e i gruppi dagli Stati e dalle loro politiche interne) la candidatura della<br />

Dieta Mediterranea ha avuto una caratterizzazione totalmente nazionale (ministeriale),<br />

transnazionale e non partecipata a livello locale. La candidatura della Dieta fatta nel<br />

2009 16 è partita infatti per l’Italia dal Ministero per le Politiche Agricole; è stata proposta<br />

congiuntamente da 4 stati (Italia, Grecia, Spagna e Marocco) e nel 2009 ha prodotto<br />

da parte del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali con il Progetto PACI, una<br />

grande campagna di catalogazione del Patrimonio Immateriale alimentare che ha coinvolto<br />

tre regioni italiane (Lazio, Basilicata e Puglia) 17 . In questo caso la catalogazione<br />

che è stata finanziata dal Mibac, è stata sviluppata da un Consorzio vincitore di un<br />

bando pubblico, tramite la supervisione scientifica e istituzionale dell’ICCD.<br />

Pur trattandosi di una candidatura ministeriale, una “comunità” territoriale è stata<br />

“scelta”, il comune di Pollica nel Cilento in provincia di Salerno, un paese noto per le<br />

ricerche sulla Dieta Mediterranea condotte negli anni Cinquanta del medico fisiologo<br />

americano Ancel Keys. Mettendo da parte per un momento il ruolo decisamente poco<br />

chiaro che ha avuto questo comune nella candidatura vera e propria rispetto agli interessi<br />

nazionali rappresentati dal Ministero per le Politiche Agricole, c’è da dire che paradossalmente<br />

questo comune, a quanto risulta, non è stato coinvolto minimamente<br />

nella compilazione dell’inventario, né come soggetto proponente né come oggetto di<br />

catalogazione. Non solo quindi il comune di Pollica, che era stato indicato come la “comunità”<br />

di riferimento della candidatura entro un’area culturale (il Cilento), non ha<br />

partecipato alla campagna di catalogazione, ma l’inventario stesso è stato fatto sul patrimonio<br />

immateriale di tre regioni – Lazio, Puglia e Basilicata – che non hanno alcun<br />

riferimento con il territorio di riferimento della comunità, che si trova nel Cilento in<br />

Campania.<br />

Riguardo all’inventario vero e proprio, riporto come esempio il caso dell’inventario prodotto<br />

nel Lazio, al quale ho lavorato direttamente per la ricerca e la compilazione delle<br />

schede di catalogo 18 .<br />

Nel modo di procedere all’inventariazione del patrimonio alimentare del Lazio – lavoro di<br />

enorme complessità per un territorio così vasto – gli antropologi responsabili del progetto<br />

hanno deciso, molto opportunamente, di procedere secondo un criterio territoriale cioè<br />

45<br />

16 - L’iscrizione è stata<br />

ottenuta nel 2010.<br />

17 - La scrivente ha<br />

partecipato in qualità di<br />

antropologa catalogatrice<br />

alla campagna di<br />

inventariazione per il Lazio<br />

nel progetto PACI.<br />

Responsabile scientifico del<br />

progetto per il Lazio è stata<br />

Roberta Tucci; responsabile<br />

amministrativo è stata<br />

Elisabetta Simeoni, che è<br />

stata la responsabile<br />

dell’intero progetto PACI per<br />

le tre regioni italiane.<br />

18 - Al Progetto PACI nel<br />

Lazio ha collaborato per la<br />

documentazione audiovisiva<br />

l’antropologa Katia<br />

Ballacchino.

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