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Antropologia museale, n. 28-29, 2011 - Dipartimento Storia Culture ...

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alità e alle classi dominate. Applicando categorie di pensiero che non appartengono<br />

al vocabolario Unesco (…) i testi prendono una scorciatoia intellettuale comoda,<br />

fondendo il concetto di PCI con la cultura popolare, la comunità come<br />

gruppo definito da una pratica culturale ed il patrimonio come espressione ed essenza<br />

del gruppo. Lo scivolamento dall’”immateriale” al “popolare” rivela i pericoli<br />

di reificazione della patrimonializzazione denunciati da Jean-Loup Amselle”.<br />

Effervescenze patrimoniali. La rivista on-line ethnographiques.org<br />

Ci soffermeremo infine sul recente appello a contributi della rivista on-line<br />

“Ethnographiques.org”, che propone un numero dedicato al tema “Etnografie delle<br />

pratiche patrimoniali: temporalità, territori, comunità” (Suzanne Chappaz-<br />

Wirthner, Ellen Hertz (Université de Neuchâtel), Dominique Schoeni (Ecole polytechnique<br />

fédérale de Lausanne). L’appello presenta un interessante quadro bibiliografico, e<br />

si configura come una navigazione attraverso l’evoluzione del concetto e delle pratiche<br />

patrimoniali, partendo dalle Convenzioni Unesco sul patrimonio immateriale e la diversità<br />

culturale, nel contesto della globalizzazione. Ve ne propongo alcuni passaggi in<br />

traduzione.<br />

A partire da un approccio etnografico e di analisi di casi, questo numero desidera<br />

interrogare le sfide legate alle forme contemporanee di patrimonializzazione. Le<br />

convenzioni UNESCO sul patrimonio culturale immateriale e la diversità culturale,<br />

ratificate a grande scala da numerosi Stati suscitano intorno alla nozione di patrimonio<br />

un’effervescenza planetaria. I meccanismi di selezione, inaugurati da alcuni<br />

paesi come la Francia da più di due secoli (Desvallées 1995; Leniaud 2002) si<br />

trovano cosi ravvivati e posti al cuore delle politiche patrimoniali contemporanee,<br />

contribuendo alla definizione di temporalità, territori e nuove comunità. In che misura<br />

questa patrimonializzazione corrisponde alla definizione di etnicità secondo<br />

Max Weber (1971), come contrappeso in un contesto attuale segnato dalla creazione<br />

di nuove forme di dipendenza e interdipendenza internazionale (Bazin,<br />

Benvenistem Selim)? Mettere in luce la diversità di queste pratiche patrimoniali<br />

e la loro relazione con il contesto della globalizzazione, questo l’obbiettivo<br />

di questo numero.<br />

L’esempio della Francia illustra la relazione stretta tra la traiettoria seguita dalla<br />

nozione di patrimonio e la storia nazionale, come lo dimostra Dominique Poulot<br />

(1997) nella sua analisi della nazione francese. Questa storia diviene oggi più che<br />

mai oggetto di molteplici racconti: il passato, il presente ed il futuro vi si coniugano<br />

nella forma della retrospezione, dell’attualizzazione o della proiezione. Al<br />

lato dei diversi modi di relegazione del passato che sono la distruzione ed il riciclaggio,<br />

i musei e la patrimonializzazione appaiono come strumenti di conservazione<br />

di ciò che non si può distruggere. (...) Il patrimonio funziona in tal senso<br />

come strumento di riqualificazione, di domesticazione della storia (Fabre 2000;<br />

Kiershemblatt-Gimblett 1998) attraverso il quale il presente sceglie il suo passato,<br />

separandosene.<br />

Qualsiasi sia la scala territoriale (locale, nazionale, mondiale) o il modo di circolazione<br />

(localizzato, delocalizzato, translocalizzato) (Appadurai 2005; Clifford 1997;<br />

Friedman 2000) le politiche patrimoniali riposano su una logica di selezione di resti<br />

della storia. Come sottolinea Jean Davallon (2006) ispirandosi ai lavori di<br />

Maurice Godelier (1996), il patrimonio costringe a conservare. Vieta di disfarsi di<br />

oggetti spesso offerti e conservati dagli antenati. Il senso di questo gesto di conservazione<br />

si può comprendere in referenza a quello che Gerard Lenclud (1987) ha<br />

analizzato come processo di “filiazione invertita” secondo la quale una tradizione<br />

è soprattutto una “retro-proiezione”: “Piuttosto che i padri mettono al mondo i figli,<br />

i padri nascono dai figli. Non è il passato che produce il presente, ma il presente<br />

che modella il suo passato. La tradizione è un processo di riconoscimento in paternità”<br />

(1987: 119). E il senso della formula di James Clifford, secondo la quale il passato<br />

è sempre “autenticamente rifatto” (2007: 113).<br />

Questi ultimi trent’anni hanno permesso a più riprese di rimettere in causa le certezze<br />

patrimoniali (Tornatore 2010). L’emergenza del patrimonio etnografico in<br />

Francia negli anni 1980 ha invitato a ripensare le scale e la posizione degli attori in<br />

queste condivisioni di patrimonio (Chiva 1990). La “de gerarchizzazione” dei patrimoni<br />

(che si sono aperti al riconoscimento del mondo rurale, industriale ed urbano)<br />

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