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Antropologia museale, n. 28-29, 2011 - Dipartimento Storia Culture ...

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fendere il punto preciso nel quale la ragione e la logica,<br />

con le loro esigenze ineludibili, intercettano le culture<br />

dell’uomo. Questo lo opponeva naturalmente ai tanti<br />

pressapoco dell’antropologia cosiddetta interpretativa,<br />

al postmodernismo, al decostruzionismo, e anche naturalmente<br />

alla bestia nera di una vita, a quell’antico antesignano<br />

di Geerzt e Taussig che era stato Ernesto de<br />

Martino, del quale Cirese avrebbe ricusato sempre la<br />

propensione innata al relativismo, e la vocazione più o<br />

meno dichiaratamente apocalittica.<br />

Forte delle sue certezze interiori, di un rigore filologico<br />

assoluto e di una energia intellettuale inesauribile, Cirese<br />

fu anche un grande caposcuola: ma più con il pungolo,<br />

e con il propugnarsi capillare di una devozione imperativa<br />

allo studio, che nel concreto esitarsi delle specifiche<br />

prospettive di ricerca da lui inaugurate. Così, al di là dei<br />

consuntivi più o meno coccodrilleschi che si possono<br />

tentare oggi di un’opera tanto vasta quanto ancora largamente<br />

inesplorata, e dell’affetto elementare che un<br />

maestro così raro non mancava e non manca di suscitare,<br />

una concreta disamina dell’impatto e dell’importanza<br />

di Cirese nella vicenda dell’antropologia italiana<br />

non potrà prescindere dall’essersi creata e rafforzata in<br />

Italia, lui caposcuola, una prassi del lavoro antropologico<br />

inesorabilmente e pressoché esclusivamente accademica.<br />

Non potrà cioè prescindere dallo statuto scientifico<br />

proprio di una “armchair anthropology“ – quella che fu<br />

peraltro, a scanso di equivoci, la disciplina di James<br />

Frazer – che, lungi dall’essere una sottospecie dell’antropologia<br />

degli acchiappafarfalle, si fonda però su delle ragioni<br />

d’essere e delle modalità del tutto proprie, che<br />

sono quelle stesse del pensiero. Di questa disciplina, anche<br />

e soprattutto a fronte dell’incomprensione di tanti,<br />

Cirese fu un titano: ed è lì che attende ancora, con il calcolatore<br />

acceso, quanti ritornino dal campo, per mettersi<br />

alla fine a fare i conti.<br />

EUGENIO IMBRIANI<br />

Chissà se riusciva a vederla l’altalena dei dislivelli di cultura,<br />

interni, esterni, un po’ su, un po’ giù, questo movimento<br />

saltellante delle forme culturali, nel loro universo<br />

fittissimo di presenze e di avvenimenti, che così finemente<br />

si è impegnato ad analizzare e a raccontare.<br />

Cirese visionario? No, non credo proprio, anche se sono<br />

convinto che non avrebbe resistito alla tentazione di<br />

concionare lungamente sul tema. Ma può essere privo di<br />

immaginazione uno che cerca principi d’ordine laddove<br />

i non eletti si aggirano confusi? E da dove viene quell’espressione,<br />

«beni volatili», che tiene insieme il vocabolario<br />

di un chimico e D’Annunzio?<br />

ALFREDO LOMBARDOZZI<br />

Ho conosciuto Cirese negli anni ‘70. Fu mio correlatore<br />

nella tesi su Geza Roheim. Mi accolse anche se chiarì subito<br />

che non era addentro al tema, ma lo sentii completamente<br />

dalla mia parte. Quando lo incontrai molti anni<br />

dopo fu molto caloroso, interessato a come avessi sviluppato<br />

i miei studi di antropologia psicoanalitica e aperto a<br />

prospettive diverse da quelle a lui più note. Lo ricordo per<br />

il sostegno alla mia persona e alla propensione interdisciplinare,<br />

autentico Maestro di vita e conoscenza.<br />

111<br />

VINCENZO PADIGLIONE<br />

Penso proprio che per lungo tempo non mi abbia stimato.<br />

Il suo stile argomentativo si alimentava di pubblici<br />

bersagli e certo, tra i meno autorevoli, seppi che mi annoverava.<br />

Qualificava negli anni 80, forse insieme ad altri,<br />

come padiglionate le tesi di una per lui improbabile<br />

ma incipiente antropologia. Sono cresciuto anche grazie<br />

alle sue sferzate e alle sonore bocciature. Ho immaginato<br />

che comunque si aprisse uno spazio di dialogo e<br />

per me di apprendimento nell’attrito che avvertivo tra<br />

quel suo temperamento sanguigno e una epistemologia<br />

che espungeva soggettività ed emozioni, ovvero nella fatale<br />

contiguità che il suo eloquio esibiva e tradiva tra il<br />

fare scientifico e il fare poetico.<br />

CRISTINA PAPA<br />

L’ultimo messaggio che Cirese mi ha mandato è del 17<br />

settembre del 2010, poco più di un anno fa. La mail<br />

aveva per oggetto “I pani a Cerreto nel 1990” e Cirese<br />

mi indicava un sito in cui scaricare come diceva «le registrazioni<br />

di quelle remote giornate» quelle di un convegno<br />

«Dal grano al pane» che avevo organizzato<br />

vent’anni prima e che egli aveva concluso. Non l’ho<br />

ascoltato subito. L’ho fatto invece più recentemente<br />

quando non avrei più avuto l’occasione di ascoltare la<br />

sua voce se non registrata. Un discorso ricco di riferimenti<br />

colti, di esempi tratti dalla vita quotidiana, vivace<br />

per l’impeto della passione polemica ma soprattutto serio<br />

nell’affrontare questioni epocali e che esigeva di essere<br />

preso sul serio. Un tratto a cui sempre improntava il<br />

suo agire e anche in quella occasione il suo dire che mi<br />

pare ora, forse più di sempre nella stagione che viviamo,<br />

essere la cifra da prendere ad esempio.<br />

GIOVANNI PIZZA<br />

Addove me rivolto vedo grano, lo cerco e no’ lo trovo lo<br />

confino… È impressa nella mia memoria la voce di Cirese,<br />

potente e bassa, levigata dal fumo. Lo stornello reatino<br />

risuona sulla platea che segue in attento silenzio il suo intervento<br />

di apertura a un convegno dedicato al pane.<br />

Cerreto di Spoleto, luglio 1990. Frequento alla Sapienza<br />

di Roma il primo anno del dottorato di cui Cirese è coordinatore.<br />

Indimenticabili lezioni nella casa di piazza Capri.<br />

Il calendario maya, le genealogie, l’analisi metrica, computazionale,<br />

del folklore. Quale fascino il suo stile intellettuale,<br />

la chiarezza critica. Una tensione incessante verso la<br />

conoscenza, la lucida passione di condividerla. Grazie.<br />

Siamo una generazione fortunata, noi che muovendo i<br />

primi passi incontrammo i Maestri. L’antropologia italiana<br />

sono loro, sono loro quel campo di grano senza confini.<br />

SANDRA PUCCINI<br />

Lo spazio mi consente qui di ricordare solo uno dei filoni<br />

del suo lavoro, quello storico-letterario: che più degli altri<br />

sento vicino, per il fatto di avere proseguito e ampliato<br />

la sua ricerca sui nostri antenati. Nei suoi numerosi<br />

scritti di storia degli studi egli, assai prima della nuova etnografia<br />

di matrice statunitense e dei “cultural studies”<br />

britannici, affrontava i legami tra scrittura letteraria, tradizioni<br />

popolari, ruolo degli intellettuali, rapporti tra egemonia<br />

e subalternità nel contesto della storia d’Italia.

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