Antropologia museale, n. 28-29, 2011 - Dipartimento Storia Culture ...
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FERDINANDO MIRIZZI<br />
Filologi e improvvisatori. Avevo partecipato un po’ occasionalmente,<br />
nello scorso mese di gennaio, a un incontro<br />
fiorentino di preparazione a una ipotesi di candidatura<br />
Unesco della poesia improvvisata in area Mediterranea, e<br />
non solo: c’erano Pietro Clemente, Paolo Piquereddu,<br />
Valentina Zingari, Paolo Nardini, Alessandra Broccolini,<br />
Sandra Ferracuti e forse qualcun altro ancora, che spero<br />
vorrà scusarmi se non ne rammento il nome. E ricordo<br />
che la messa a punto di quanto maturato fino a quel momento<br />
all’interno del progetto “Incontro” e le prospettive<br />
apertesi nelle discussioni tra esponenti delle ONG di<br />
vari Paesi riunitisi a Nairobi alla fine del 2010 di cui riferirono<br />
Paolo Nardini e Valentina Zingari, che vi avevano<br />
partecipato, raccontando dei contatti con studiosi e operatori<br />
di altri continenti e delle possibilità di ampliamento<br />
del progetto fino a comprendere anche forme di improvvisazione<br />
poetica dell’America Latina, costituivano una<br />
ormai solida base per elaborare una proposta di candidatura<br />
consapevole e matura. Valentina parlava con entusiasmo<br />
di Antonio Arantes, antropologo brasiliano con<br />
solide esperienze di ricerca sulla tradizione orale nel suo<br />
Paese, e della sua capacità di fare rete con tanti altri studiosi<br />
e ricercatori sparsi per il mondo. Quanto ascoltavo<br />
mi intrigava e, quando Pietro mi chiese un commento,<br />
dissi che convenivo con lui nel ritenere che una proposta<br />
di candidatura quale si andava allora delineando recuperasse<br />
uno dei principi che aveva caratterizzato la storia<br />
degli studi demologici e antropologici sul piano internazionale:<br />
la comparazione, attraverso la quale sarebbe<br />
stato possibile cogliere analogie e differenze tra produzioni<br />
culturali appartenenti a contesti diversificati. Così da<br />
costruire, nel caso specifico, una rete di poeti improvvisatori<br />
in grado di dialogare tra loro con le proprie composizioni<br />
e le rispettive performances, permettendo di superare<br />
qualsiasi idea di competizione e di gerarchizzazione<br />
tra beni immateriali, che sembrava invece avere fino a<br />
quel momento segnato la corsa alle candidature per l’inserimento<br />
nella lista Unesco.<br />
Quella riunione e la visione di altri materiali di riflessione<br />
e di discussione letti successivamente aveva stimolato la<br />
mia curiosità per la giornata in cui, all’interno di Etnu<br />
<strong>2011</strong>, si sarebbe discusso a Nuoro del progetto di candidatura<br />
multinazionale, o plurilocale secondo l’espressione<br />
usata da Pietro Clemente, e si sarebbero potuti<br />
ascoltare insieme e comparativamente poeti improvvisatori<br />
nordafricani, latinoamericani ed europei, tra cui anche<br />
laziali, toscani e sardi, in una straordinaria dimensione<br />
polifonica e in un clima di riflessione comune.<br />
Con interesse, dunque, fermandomi a Nuoro oltre le ini-<br />
ziative programmate da ISRE e SIMBDEA insieme per riflettere<br />
criticamente sull’eredità trasmessa alla museografia<br />
contemporanea dal Congresso e dalla Mostra di<br />
Etnografia Italiana del 1911, ho seguito il programma<br />
previsto per domenica 12 giugno, non rimanendone per<br />
nulla deluso soprattutto per l’effetto prodotto dall’intreccio<br />
di lingue, stili poetici, modelli performativi differenti.<br />
A me, che ho avuto una formazione demologica<br />
iniziale di tipo filologico-letterario, quell’intreccio richiamava<br />
la lunga catena di ricerche e studi che, attraverso<br />
Tommaseo e D’Ancona, Nigra e Barbi, Santoli e Toschi,<br />
Cirese e Bronzini, aveva progressivamente definito gli indirizzi<br />
di metodo per la comparazione nazionale e internazionale<br />
delle produzioni poetiche, supportate dalla recitazione<br />
o dal canto, per l’individuazione dell’intensità<br />
della tradizione, specialmente orale, e del grado di elaborazione<br />
a cui i testi sono sottoposti nel loro vasto processo<br />
di diffusione nel tempo e nello spazio. E se la<br />
grande scuola filologica italiana si limitava, come faceva<br />
ad esempio Michele Barbi, a segnalare l’«europeità di<br />
temi e melodie popolari», per cui le testimonianze rilevabili<br />
nei diversi contesti regionali e locali altro non erano<br />
che varianti, adattamenti, tramutamenti di una tradizione,<br />
orale e scritta, variamente circolante in tutta<br />
Europa, per cui era necessario condurre lo studio dei testi<br />
letterari e delle melodie entro un raggio di comparazione<br />
che fosse il più ampio possibile, le composizioni<br />
improvvisate di berberi e catalani, argentini e sardi, toscani<br />
e laziali che si avvicendavano in quella domenica di<br />
inizio estate a Nuoro mi facevano pensare a un allargamento<br />
degli orizzonti suggeriti dai maestri filologi<br />
dell’Otto e del Novecento. I quali erano convinti, in una<br />
prospettiva transnazionale e sia pure per lo più limitata<br />
al continente europeo, che i testi poetici si caratterizzassero<br />
come veicoli di cultura, non condizionati da vincoli<br />
di lingua e di appartenenze etniche, in grado di trasmigrare,<br />
al di là degli ostacoli di natura geografica o ideologica,<br />
tra popoli diversi favorendo dialoghi e scambi culturali,<br />
sollecitando nuove produzioni e stimolando la<br />
crea tività in connessione con le differenti situazioni contestuali.<br />
E, mentre ascoltavo, pensavo alla necessità di riconsiderare<br />
l’apporto dei filologi italiani ed europei, come ad<br />
esempio tra gli altri il grande Ramón Menéndez Pidal,<br />
perché forse nelle loro opere si possono trovare utili presupposti<br />
per uno studio supernazionale e comparato<br />
dell’improvvisazione poetica, lungo le linee, e pur con<br />
prospettive di forte rinnovamento, che le esperienze più<br />
recenti e l’incontro di Etnu <strong>2011</strong> sembrano suggerire e<br />
voler perseguire.