Antropologia museale, n. 28-29, 2011 - Dipartimento Storia Culture ...
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suggerire un’alternativa da me. Sulle prime sembrò accogliere<br />
in maniera entusiastica la mia proposta, ma subito<br />
la mia presunzione di essere entrato nel suo universo<br />
fu frustrata, perché nel mentre che trascrivevo il<br />
mio contributo lui trovò una soluzione migliore. Illusione<br />
fugace, ma che insieme a ciò che mi lega all’uomo conservo<br />
molto gelosamente.<br />
PIETRO CLEMENTE<br />
Il coraggio estremo. Ora voglio ricordare Alberto Mario<br />
Cirese nella estrema dignità e coerenza del suo tempo<br />
ultimo. E con il dolore di non averlo rivisto dopo l’estate.<br />
Quest’uomo dal quale ho appreso l’arte del professore<br />
universitario, e che ho scelto come Maestro, con sempre<br />
grande autonomia, mi ha colpito molto nel vissuto del<br />
suo tempo estremo. Lo vedo in ospedale, smagrito, parla<br />
con difficoltà. Accenna alla fatica fisica del suo corpo<br />
agito da altri, ai suoi conflitti di potere con le infermiere<br />
e una suora che lo sovrastano. Ma riesce a staccare la<br />
mente. Un mp3 carico con la lettura della Divina<br />
Commedia lo aiuta a separarsi dal traffico dei corpi e a<br />
connettersi ad antiche umanità. E lì trova ancora i pensieri<br />
per le sue opere, figlie della mente. “Ho pensato di<br />
riorganizzare il mio blog per cicli tematici” mi ha detto<br />
ai primi di agosto, nell’ultimo incontro. Ma anche “Non<br />
avete idea della fatica che faccio per resistere”. Il giorno<br />
del suo compleanno dei 90 anni mi ha detto a memoria<br />
i versi di una poesia di suo padre, per la morte della<br />
mamma:<br />
Ottant’anne so tante a fa la conta<br />
E tante pe suffrirle;<br />
ma quande z’arraconta<br />
e so passate,<br />
iè come fusse state nu salustre (lampo);<br />
na lampa e può lu scure<br />
lu decive tu pure:<br />
Eh, la vita che iè?<br />
Ciuciù, ciuciù, ciuciù<br />
Vuvu, vuvu<br />
E può?<br />
Na iaperta de vocca e iè finita<br />
….<br />
Si è spezzato con grande consapevolezza, senza piegarsi.<br />
VALERIA COTTINI PETRUCCI<br />
Chi, come me, ha compiuto la sua carriera nei musei, ha<br />
sempre considerato Cirese un punto di riferimento importante<br />
e insostituibile per la crescita di essi, in una<br />
nuova concezione di museo vivo, attivo, aperto a un<br />
pubblico di ogni genere per far comprendere e non soltanto<br />
“vedere” quello che è esposto. Diede la sua importante<br />
consulenza a molti musei etnografici e fu<br />
molto vicino e interessato all’attività del Museo Nazionale<br />
delle Arti e Tradizioni Popolari: i suoi consigli, i suoi pareri<br />
sono stati una guida preziosa. Cirese ha dato sempre<br />
molta importanza ai giovani, ai loro studi e al loro avvenire.<br />
Questo suo interesse per i giovani si è evidenziato<br />
da sempre: si adoperò presso i Ministeri competenti per<br />
ottenere il ruolo degli antropologi nel quadro delle istituzioni<br />
auspicando il riconoscimento della professiona-<br />
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lità dei giovani studiosi nell’organico dell’Amministrazione<br />
dello Stato. Grazie, Alberto, per quanto hai scritto<br />
e detto a tutti noi: avrò sempre nel cuore le tue parole,<br />
i tuoi suggerimenti, il tuo alto insegnamento.<br />
GABRIELLA DA RE<br />
Io ho pochissima memoria. A pensarci bene c’è stata<br />
una notte in cui io e Giannetta l’abbiamo accompagnato<br />
a Cagliari in macchina. Penso fossero le 2 di<br />
notte. Ci siamo fermati in un bar nella 131 e lui era<br />
molto polemico verso marxismo, femminismo, ecc. Ma<br />
non vedeva produzione e valore intorno a sé. E io decisi<br />
di reagire ricordandogli che le iniziative del regesto<br />
gramsciano e il dizionario di antropologia ispirato al<br />
marxismo erano fallite per sua colpa. Non le aveva portate<br />
avanti senza una parola. Mi aveva detto che le voci<br />
del dizionario erano molto mal fatte e perciò lo aveva<br />
mollato. Praticamente né io né Giannetta abbiamo dormito<br />
quella notte. La ricordo come una sorta di incubo.<br />
Ma è troppo difficile far diventare questo spunto qualcosa<br />
di leggibile. A volte mi sembra di essermi inventata<br />
tutto.<br />
PAOLA DE SANCTIS RICCIARDONE<br />
Difficile che aprisse un corso senza ricordare agli studenti<br />
quei due proverbi che a suo avviso condensavano<br />
le due anime in lotta dell’antropologia: “Paese che vai<br />
usanza che trovi” e “Tutto il mondo è paese”. Lui virava<br />
ostinatamente verso tutto il mondo paese, ma rimaneva<br />
affascinato dalle usanze che trovava, in Sardegna come<br />
in Molise o in Puglia, per poi magari ridurle nelle sue<br />
Semilogiche ragioni semiologiche, senza per questo farci<br />
perdere il loro sapore unico e irripetibile. Tuttavia è esistito<br />
anche un “Paese che vai Cirese che trovi”. Sandra<br />
Puccini, Alberto Sobrero, Bia Sarasini, Maria Luisa<br />
Mirabile, Ada Incudine, Alba Rosa Leone ed io ci siamo<br />
per primi addensati attorno al Cirese romano. Non ricordo<br />
chi della Trimurti (se Brahma, Siva o Visnu, ovvero<br />
Angioni, Solinas e Clemente) una volta, forse in un<br />
ToFiSiRoCa, gli scrisse un bigliettino ironico che suonava<br />
più o meno così: “Finché sei stato senese eri Cirese, ora<br />
che sei romano non sarai diventato un po’ Cirano?”.<br />
Allora incassai e gelosa romanamente rosicai, oggi ci ripenso:<br />
ma Cirano non fa rima anche con Cagliaritano?<br />
FRANCESCO DELLA COSTA<br />
La scatola nera. Era maggio, un caldo pomeriggio romano.<br />
Non starò a dire chi fosse Alberto Mario Cirese,<br />
non sono titolato per farlo e forse non serve nemmeno,<br />
perché lo sanno tutti. Non starò a dire nemmeno il privilegio<br />
che ho avuto, apprendista di antropologia, a frequentare<br />
la bottega del maestro dei miei maestri. Era un<br />
pomeriggio di maggio, dunque: io stavo al computer,<br />
che il professore aveva battezzato AMC1, lui poco più<br />
dietro, come sempre, a guidare a memoria le mie mani<br />
e pure i miei occhi, quasi fossero i suoi. Lui doveva lavorare,<br />
ancora, ogni giorno, nonostante l’età, i malanni, la<br />
cecità ed io ero là per aiutarlo. Mi chiese di aprire un file,<br />
di cercarlo in “Y”, così si chiamava l’hard disk esterno in<br />
cui aveva rinchiuso tutta la sua opera e non solo: la sua<br />
autobiografia digitale. Non lo trovavo, non trovavo