Antropologia museale, n. 28-29, 2011 - Dipartimento Storia Culture ...
Antropologia museale, n. 28-29, 2011 - Dipartimento Storia Culture ...
Antropologia museale, n. 28-29, 2011 - Dipartimento Storia Culture ...
Create successful ePaper yourself
Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.
112<br />
Recuperando anche studiosi marginali o minori (spesso<br />
ignorati) e collocandoli nello svolgimento e nel tessuto<br />
teorico delle discipline demo-etno-antropologiche italiane<br />
ed europee.<br />
Cirese amava ripetere agli allievi che la filologia viene<br />
prima della filosofia; e anche – secondo un proverbio da<br />
lui coniato – “meglio schematico che confuso”. Questo<br />
non impediva però che la sua prosa fosse ricca e complessa<br />
e nutrita di suggestioni letterarie anche nell’esposizione<br />
scientifica. Quando si ricordano i morti il rischio è<br />
che chi scrive, invece di parlare di loro, parli di sé. Ma mi<br />
sia consentito un brevissimo cenno autobiografico, legato<br />
al mio ultimo incontro con lui avvenuto nell’ospedale da<br />
cui non sarebbe più uscito. Mi ha detto: “Pensavo di raggiungere<br />
l’età di mia madre: 96 anni. Ce la metterò<br />
tutta”. Pochi giorni dopo avrebbe compiuto 90 anni. Poi<br />
aveva cominciato a parlare di lavoro – il suo legame con<br />
la vita e con il futuro. Sempre lucido, ironico, con la sua<br />
intelligenza vivacissima e la sua memoria portentosa.<br />
La morte ha interrotto per sempre i suoi progetti – e gli<br />
ha fatto perdere la tenera gara con sua madre, Aida<br />
Ruscitti, maestra elementare. Ci resta però la sua ricchissima<br />
eredità: fatta di opere, innanzitutto. Ma anche –<br />
per quanto mi riguarda – di una lunga, affettuosa consuetudine<br />
intellettuale e di quel sodalizio complicato e<br />
profondo – filiale – che lega gli allievi ai veri maestri.<br />
RICCARDO PUTTI<br />
La memoria torna ai giorni lontani di giovane studente<br />
nella Facoltà di cui Cirese fu primo preside. Breve e intensa<br />
la permanenza di Cirese nella rossa Siena dove ancora<br />
riverbera il suo segno e ancor più per me, fu la nascita<br />
della passione per le discipline dea. Poi venne la<br />
Scuola nei luoghi senesi e romani: la Fondazione Basso,<br />
la Certosa di Pontignano, Santa Marinella: era il To.Fi.<br />
Si.Ro.Ca. Mi formai lì come antropologo. Oggi lo rivedo<br />
nell’ultima lezione senese lucido come sempre, vivido<br />
nella filigrana di pixel dello schermo del mio portatile.<br />
ANTONELLO RICCI<br />
A maggio del 1997 ho partecipato al convegno Poesia:<br />
tradizioni, identità, dialetto nell’Italia postbellica, su invito<br />
di Pietro Clemente. Si è trattato di un intervento performativo<br />
sulle canzoni di Eugenio Cirese, presente il figlio<br />
Alberto. Non nascondo la viva preoccupazione.<br />
Tuttavia mi sono armato di chitarra battente, zampogna<br />
e organetto, ma anche di un amplificatore, e di alcuni<br />
nastri preregistrati, e ho eseguito le canzoni con vari codici<br />
musicali ed espressivi. Pietro lo definì un intervento<br />
zelig. Cirese mi espresse la sua approvazione e i complimenti<br />
in maniera più distaccata e accademica. Tutti sappiamo<br />
quale sia stato il ruolo del fumo e della sigaretta<br />
per Cirese. Per tutta la durata del mio intervento non<br />
fumò, seguendo a fior di labbra, sillaba per sillaba, i testi<br />
dei canti che eseguivo. Poi si accese la sigaretta.<br />
ENIO SCOPOLINI<br />
Ho conosciuto per la prima volta Alberto Mario Cirese in<br />
occasione di una conferenza a Siena sull’opera di André<br />
Leroi-Gourhan, credo nel nel giugno del 1980 e a noi studenti<br />
delle discipline Etno-antropologiche alle prime armi è<br />
apparsa la figura di un uomo abbastanza esile, vestito in<br />
grigio scuro, che ci suscitava del timore reverenziale. Una<br />
volta che il “professore” ha iniziato a parlare ci ha affascinato<br />
con il suo linguaggio chiaro, pur nella non semplicità<br />
dei concetti che esplicava, ma la nostra attenzione è diventata<br />
massima quando con un “coup de théâtre” ha aperto<br />
la sua borsa nera tirando fuori, come dal cappello di un<br />
prestigiatore, viti, bulloni, altre viti ecc. aprendo la nostra<br />
mente alla Tecnologia culturale. Da quel giorno, nelle poche<br />
occasioni che ho avuto di incontrare nuovamente il<br />
“professore”, l’ho ammirato con una infantile speranza:<br />
che dalla borsa nera saltassero altre magie di conoscenza.<br />
EUGENIO TESTA<br />
Averci a che fare. Per il lavoro o per lo studio non lo so ancora<br />
cosa voglio. Quello che so è che mi piacerebbe avere<br />
a che fare con questa persona, pensai una volta che mi<br />
trovavo a casa sua, a Piazza Capri, e stavamo sulla soglia<br />
del suo studio. Sarà stato il 1980? Certo era dopo la laurea,<br />
sul Regesto gramsciano. Nel 1980 ero già un ex militante,<br />
e dunque moralmente un profugo, uno sradicato:<br />
non potevo più salvare il mondo. Facevo il bibliotecario<br />
con partita IVA, per la RAI e per l’Università. Ma avevo<br />
quell’interesse, per una persona che era un metodo, uno<br />
stile, un atteggiamento di pensiero e di lavoro che mi si<br />
confacevano, nei quali mi sentivo a casa, e dai quali imparavo<br />
sempre, quando ci avevo a che fare. Ho avuto fortuna,<br />
nel tempo, prima con il Regesto, poi con il dottorato,<br />
poi con il lavoro: ho potuto continuare ad averci a<br />
che fare, sempre continuando a imparare. Grazie.<br />
ROBERTO TOGNI<br />
Ho conosciuto Alberto Mario Cirese nel 1975 a Bologna,<br />
in occasione del Primo Congresso Nazionale dei musei<br />
agricoli, di cui è ben noto il successo: principali attori gli<br />
anonimi museografi auto-interpreti della loro cultura. Ma<br />
sul fronte universitario è di Cirese la traccia più significativa<br />
con un intervento confluito due anni dopo nel libro<br />
tuttora fondamentale (Oggetti, segni, musei sulle tradizioni<br />
contadine, Einaudi, Torino 1977). Esigenze di spazio<br />
mi obbligano a tratteggiare solo alcune sfumature che riguardano<br />
la delicatezza e la sensibilità del Nostro. Ad<br />
esempio in occasione del mio tumore al colon del settembre<br />
2009, felicemente superato, mi scriveva a stretto giro<br />
di internet: Debbo dirti però che un’analoga vicenda ha<br />
coinvolto mia moglie Liliana che tu forse ricordi, poco<br />
prima nel mese di luglio. Anche per Liliana è stata evitata<br />
la chemioterapia. Domani ha una tac, ma abbiamo buone<br />
speranze. Di nuovo un abbraccio. E quando il 22 luglio<br />
2010 accompagnavo per una escursione Gillo Dorfles nei<br />
luoghi fogazzariani del “Piccolo Mondo Antico”, patria di<br />
mio padre, alla mia espressione di rammarico “Manchi<br />
tu”, rispondeva prontamente: Mi piacerebbe esserci anche<br />
io! Sarà per un’altra vita. Ricordami caramente a<br />
Dorfles: quanto lontani e insieme vicini gli anni felici di<br />
Cagliari. Pure nel 2010 (ci scrivevamo spesso per mail) per<br />
dimostrare di non avere dimenticato una cena del 1996 in<br />
casa mia a Milano (con Roberto Leydi, Sandra Mantovani,<br />
Giuseppe Barbiano di Belgioioso, il console generale di<br />
Ungheria e il direttore del grande museo dell’agricoltura<br />
di Budapest, 1896-1996) ricordò di aver visto alla parete