Antropologia museale, n. 28-29, 2011 - Dipartimento Storia Culture ...
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muovere entrambe le espressioni, preannunciando, così, una linea “politico-culturale”<br />
che autarchicamente punta a valorizzare altre epoche, altri stili artistici (il Rinascimento,<br />
la Firenze degli Iblei). Scomparso il “Val di Noto”, compare un inatteso “Val di Catania”,<br />
invenzione troppo ardita e priva di ogni supporto burocratico istituzionale per poter essere<br />
realisticamente pensata come base di una nuova immaginazione identitaria. La<br />
balàta del 2004, dunque, nel rilanciare una poetica del pòlemos e della manipolazione,<br />
della sfida e dell’allusione, fagocita l’evento “iscrizione nella WHL” all’interno di quelle<br />
logiche giurisdizionali che hanno governato per secoli lo spazio pubblico di Militello, nel<br />
momento stesso in cui si fa simbolo di una politica di rifiuto delle profonde conseguenze<br />
che quell’evento avrebbe potuto avere – e che di fatto negli altri centri iscritti avrà – sulla<br />
realtà locale. Le passioni e le inquietudini politiche, veicolate dalla nuova balàta, pongono<br />
vincoli precisi e apparentemente insormontabili all’emergere di forme nuove di immaginare<br />
ed esperire il mondo sociale.<br />
Classificazioni globali, passioni patrimoniali, inquietudini politiche<br />
Possiamo ora provare a trarre le fila di questa nostra comparazione partendo dalla constatazione<br />
di un paradosso. L’iscrizione nella WHL degli otto comuni della Sicilia orientale<br />
si fonda sul riconoscimento del carattere omogeneo ed eccezionale della ricostruzione<br />
dell’intera area dopo il terremoto del 1693. Il tardo barocco è, da questo punto<br />
di vista, lo stile artistico-architettonico che connotò, all’epoca, l’intera impresa. Le dimensioni<br />
economiche, quelle politiche, sociali e, più specificamente giurisdizionali,<br />
della ricostruzione, che alcuni studiosi di quel processo hanno messo in luce (Dufour<br />
1985; Scalisi 2001) sono state invece ignorate dalla classificazione UNESCO, tutta centrata<br />
sulla dimensione urbanistica e storico-artistica. Essa, infatti, espunge dal processo<br />
di oggettivazione patrimoniale proprio quelle dinamiche socio-politiche che erano state<br />
alla base della ricostruzione settecentesca del “Val di Noto” e che hanno continuato a<br />
rendere inquiete le scene coinvolte sia durante tutta la fase di istruzione delle candidature,<br />
sia negli anni immediatamente successivi. A Militello, come in alcuni altri centri<br />
implicati in tale processo (Palazzolo Acreide e, almeno in parte, Scicli) quelle dinamiche<br />
fazionali e giurisdizionali che erano state tra i motori più potenti della ricostruzione settecentesca<br />
e che sono state rimosse dal processo ufficiale di costruzione patrimoniale,<br />
sono invece ancora oggi ben visibili e particolarmente forti. Esse agitano le passioni politiche<br />
degli attori sociali, avvolgendo edifici e siti interessati dalle classificazioni<br />
UNESCO in una trama di pratiche sociali e di emozioni che, pur fissandosi su oggetti<br />
divenuti “patrimonio”, facciamo fatica a definire patrimoniali 9 . Sono “inquietudini politiche”,<br />
emozioni fazionali e aggressive, quelle che continuano a muovere gran parte<br />
delle azioni che a Militello sono messe in atto intorno a, e attraverso le “cose del patrimonio”.<br />
In una certa fase storica (quella appena descritta), la patrimonializzazione<br />
stessa, in termini metonimici (con il Palazzo sede del Club UNESCO) e analogici (attraverso<br />
la balàta commemorativa) diviene nient’altro che un elemento, un concretum,<br />
uno tra i tanti disponibili, attraverso il quale continuare a giocare il proprio gioco polemologico.<br />
Questa “poetica sociale” (Herzfeld 1997), che può continuare ad avere un<br />
senso (sempre più autarchico e ristretto, però) nello scenario locale, e che ha giocato<br />
un ruolo importante nella fase di forte conflittualità prodotta, nell’area, dall’emergere<br />
della proposta di iscrizione nella WHL, provoca invece effetti negativi quando ci si trova<br />
ad operare in uno scenario inedito, come quello del “Val di Noto” tra il 2005 e il 2009.<br />
Le vicende della nascita del “Sud-Est” e della rinascita del “Val di Noto” ci hanno condotto<br />
proprio all’interno di un simile, nuovo, scenario socio-politico, che appare dominato<br />
dall’immaginario patrimoniale e costruito in accordo alle logiche essenzializzanti e<br />
iconicizzanti della classificazione transnazionale UNESCO 10 . Alcuni anni fa ho provato ad<br />
indicare alcuni tratti costitutivi del processo di oggettivazione patrimoniale (Palumbo<br />
1998) (Palumbo 2003). In primo luogo era evidente come l’azione burocratica e politica<br />
dell’UNESCO non annullasse l’esistenza di sentimenti localistici e di tensioni campanilistiche,<br />
ma al contrario li eccitasse e in qualche modo li riattivasse, anche dopo decenni, se<br />
non addirittura secoli di quiescenza. Notavo, però, come quelle stesse dinamiche conflittuali,<br />
eccitate dall’intervento dell’istituzione transnazionale, dovessero essere rimosse<br />
dalla rappresentazione ufficiale. Il “patrimonio universale”, che per essere riconosciuto<br />
tale aveva rimesso in moto antichi rancori campanilistici, doveva essere epurato da qualsiasi<br />
riferimento a conflitti interni agli scenari sociali che la classificazione ufficiale andava<br />
ridefinendo. Questo aveva a che vedere, pensavo, con la necessità di quel sistema tassonomico<br />
di produrre “cose culturali”, oggetti patrimoniali essenziali, immagini iconiche e<br />
19<br />
9 - Cfr. Palumbo 1997,<br />
1998, 2003, 2006.<br />
10 - Cfr., ad esempio,<br />
Palumbo 1998, 2003, 2006,<br />
2007, Bunten 2008, Collins<br />
2008, Di Giovine 2010.