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Antropologia museale, n. 28-29, 2011 - Dipartimento Storia Culture ...

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108<br />

GIULIO ANGIONI<br />

È caratteristica dell’opera complessiva di Cirese studioso,<br />

e del suo insegnamento esplicito e implicito a una vasta<br />

cerchia di allievi, una fruttuosa libertà tematica dei plurimi<br />

interessi dei “membri” di questa scuola, unita a una pratica<br />

molto rigorosa del metodo scientifico, anzi dei metodi<br />

scientifici: perché il Maestro per primo sempre e i suoi allievi<br />

migliori hanno praticato e si distinguono ancora per<br />

un avveduto relativismo teorico-metodologico, che usa ad<br />

hoc orizzonti strategici, metodi di studio, di ricerca e di<br />

analisi adatti e giustificati dalla produttività del loro impiego<br />

su determinati oggetti di studio.<br />

MARCELLO ARDUINI<br />

Una volta, presentandogli il mio lavoro sulle fiabe del viterbese,<br />

chiesi a Cirese come mai nella campagna di raccolta<br />

della narrativa orale della Discoteca di Stato del<br />

1968-72 non era stata presa in esame nemmeno una<br />

zona dell’Alto Lazio. Mi rispose che era già stato un miracolo<br />

realizzare un’indagine siffatta, con 40 ricercatori<br />

e con 133 raccolte in altrettante località in tutte le regioni<br />

d’Italia, e che, per assenza di fondi, molti territori<br />

erano stati purtroppo trascurati.<br />

“Del resto – aggiunse con la sua voce incisiva arrochita<br />

dal fumo che ancora mi suona nelle orecchie – più volte<br />

ho udito dire da Paolo Toschi, in risposta semiseria a chi<br />

segnalava qualche mancanza in lavori suoi o altrui, che<br />

bisognava pur lasciare qualcosa da fare a chi veniva<br />

dopo”.<br />

E da questo, con la consueta facondia critica, iniziò a<br />

parlare della cumulatività del sapere (anzi, dei saperi), e<br />

come dal riconoscimento dell’esistenza delle lacune si ricavino<br />

gli stimoli per colmarle, e quanto sia meritorio<br />

porsi nella prospettiva di continuare laddove altri si sono<br />

fermati.<br />

Una indimenticabile lezione sul valore delle eredità culturali.<br />

SISTA BRAMINI<br />

Il crepuscolo avanzava, eravamo nella cucina della casa<br />

laboratorio di Cenci (diretta da Franco Lorenzoni) nella<br />

campagna umbra di Amelia (TR), per due giorni di seminario<br />

con Alberto Mario Cirese. Noi a Cenci sviluppavamo<br />

una proposta innovativa in cui l’educazione (MCE)<br />

si intrecciava alla ricerca teatrale, l’ecologia, l’astronomia,<br />

l’intercultura. Ispirati dal passaggio a Cenci (1982)<br />

di Jerzy Grotowski e del suo Teatro delle Sorgenti, basavamo<br />

la nostra ricerca sulla necessità di una pratica e di<br />

un rapporto diretto con la natura. Invitammo Cirese a<br />

parlarci di quello che lui chiamava “l’elementarmente<br />

umano”. Furono due giorni intensi vissuti nell’estremo<br />

rigore intellettuale, ma senza distanza accademica.<br />

Difficile spiegare il valore di una simile esperienza oggi.<br />

Allora ci si incontrava per riflettere mossi da necessità<br />

esistenziali e quello intellettuale era solo uno dei tanti<br />

aspetti che ci interessava. Ho sempre tenuto istintivamente<br />

legati i concetti a chi li veicola e alla sua qualità<br />

umana, da giovane ancor di più. Ricordo che mentre il<br />

crepuscolo, inesorabile, dilagava nella cucina, noi eravamo<br />

affascinati e un po’ sbattuti dal fiume in piena<br />

delle parole di Cirese. Gli chiedevamo: “Se si vede solo<br />

ciò che già si conosce, come si fa ad aprirsi al resto?”.<br />

Lui rispondeva: “… pensate, se vivessimo costantemente<br />

nello sconosciuto e nell’instabile, se lasciando i vestiti<br />

sulla sedia vicino al letto la sera, al mattino non fossimo<br />

certi di ritrovarli? Se al nostro risveglio dubitassimo di ritrovare<br />

gli alberi ancora lì? Potremmo avere la possibilità<br />

di fare cultura? Essere creativi? Riflettere?”. La notte saliva<br />

e rendeva incerti ormai i contorni nella stanza lasciando<br />

emergere la vibrazione appassionata, combattente,<br />

della sua voce focosa. Mi sembrò di toccare l’essenza<br />

fragile, ma coraggiosa, dell’essere umani, e in un<br />

bagliore, per un attimo, intravidi, dietro a quella voce<br />

battagliante per la conquista della ragione, l’altra, quella<br />

più nascosta, magica, che con tremore si faceva largo<br />

nelle tenebre e sussurrava: “… dobbiamo affermare ad<br />

ogni costo la necessità della ragione, lottare incessantemente<br />

per tirar fuori dal mare dell’incerto il pur limitato<br />

certo, solo così le cose l’indomani mattina saranno ancora<br />

lì, dove le abbiamo lasciate la sera…!”.<br />

CHRISTIAN BROMBERGER<br />

Alberto Mario Cirese a fortement marqué de son empreinte<br />

l’anthropologie italienne mais sa pensée a aussi<br />

rayonné ailleurs, en France notamment. Je suis un de ses<br />

admirateurs. Son livre (Cultura egemonica e culture subalterne)<br />

et ses articles sur le jeu d’Ozieri (j’ai eu le privilège<br />

de collaborer à la traduction et à l’édition de l’un<br />

d’entre eux dans L’Homme, Revue française d’anthropologie)<br />

m’ont beaucoup inspiré. Tout ce qu’il a écrit sur<br />

les dislivellide la culture, sur la culture populaire a été un<br />

prolongement lumineux de la pensée gramscienne. Ses<br />

développements sur le jeu d’Ozieri m’ont été aussi très<br />

utiles quand j’ai pris pour objet d’analyse le match de football,<br />

une compétition où il y a un vainqueur et un perdant<br />

(le match nul est un pis aller). C’est une belle illustration<br />

du Mors tua, vita mea scruté par Cirese dans<br />

lesjeux folkloriques qu’il a étudiés. Ses travaux sur les<br />

musées, la nostalgie, la parenté sont aussi des références<br />

majeures. J’ajoute que j’ai toujours éprouvé une respectueuse<br />

sympathie pour l’homme. À Sienne, à<br />

Cagliari, à Aix-en-Provence, où j’ai eu le plaisir de le voir,<br />

j’ai toujours été séduit et impressionné par le mélange<br />

de rigueur, de jovialité et de sensibilité qui se dégageait<br />

de sa personnalité.<br />

ALESSIO CATALINI<br />

Una vicinanza solo sfiorata. Per alcuni mesi ho prestato<br />

occhi, mani e orecchie ad una mente i cui confini sono<br />

ancora inesplorati; le stesse mani, gli stessi occhi e le<br />

stesse orecchie che si erano fuse in un altro senso, quello<br />

della memoria visiva. Circondato da libri, dispense, fogli<br />

sparsi, ma soprattutto da macchine di vario genere, calcolatori<br />

(non è mai stato il computer per Cirese) di ere<br />

tecnologiche differenti e loro appendici, spesso appartenenti<br />

a nuove frontiere informatiche, che lui continuava<br />

tignosamente a padroneggiare, lo assistevo nella sua feroce<br />

dedizione al lavoro. Non è stato il mio maestro, ma<br />

ha formato gran parte di quelli che ora lo sono. Un<br />

giorno, mentre lavorava ad un suo scritto, mi si presentò<br />

l’occasione per avvicinarmi, seppur in maniera minima,<br />

al Cirese professore. Poco convinto di una frase, si fece

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