1 - Andate a dire, così, ai buoi che vadano via,/che quello che hanno fatto hanno fatto,/che adesso si ara prima con il trattore./ Piange il cuore a tutti, anche a me,/vedere che hanno lavorato delle migliaia di anni, e adesso devono andare via a testa bassa/ dietro alla corda lunga del macello. (Da Tonino Guerra, I bu, 1972). 116 uomo della gestione. Di recente un testo di Hugues De Varine Musei locali del futuro, messo sul sito, ha suscitato un incendio di discussioni e riflessioni. Siamo proprio vivi. Dal 2012 mostreremo che rinnovarsi è possibile. Così sia. I bu Andé a di acsè mi bu ch’i vaga véa Che quèl chi à fat i à fatt, che adèss u s’èra préima se tratour. E’ pianz e’cor ma tott, ènca mu me , avdai ch’i à lavurè dal mièri d’ann e adèss i à d’andè véa a testa basa dri ma la corda lònga de’ mazèll 1 Nel nostro terzo convegno dell’anno, a Santarcangelo di Romagna, nel novembre di San Martino, che ricorda Carducci e la storia d’Italia, e che per Polenta, lì vicino (comune di Bertinoro), scrisse i versi per noi fondativi “L’itala gente da le molte vite”, abbiamo riscoperto la forza delle radici dei musei locali. Il Museo etnografico di Santarcangelo come il campanile di Marcellinara ancora saldo, patria culturale per Simbdea, presidio che parla con tutti, associazioni dei contadini, dei giovani, dei cineasti, dei naturalisti, dei biologi, dei gourmet, degli ambientalisti, e noi nel mezzo. Noi con i buoi di Tonino Guerra che qui campeggia in ogni dove, a riflettere se gli antichi bovi saranno risarciti, almeno nella memoria delle nuove agricolture. Qui ci siamo ritrovati come nella generazione degli anni ‘70 a parlare di contadini ma futuri, con il nostro decano ed agronomo Gaetano Forni, e tanti giovani che fanno etnografie del mondo contadino attuale. Il nostro incontro plurale di Santarcangelo, pieno di compleanni, i 150 dell’Unità cantati da Sandra e Mimmo Boninelli, i 40 del Museo, i 10 di SIMBDEA e il trentennale di Mario Turci direttore del MET, è stato una specie di ‘fiera’ delle forme di meeting (incontri, workshop, convegno, laboratori, spettacoli, recitava il sottotitolo ma spesso si è parlato anche di tavoli ), e ha funzionato proprio bene. È finito con una rissa istruttiva tra contadini studiosi e contadini-contadini che mi ha ricordato molto la guerra tra poe ti improvvisatori e professori di Grosseto 1997. Per me le heritage frictions fanno parte dell’antropologia, e quindi anche le ‘peasant frictions’ sono pezzi di etnografia nel vivo. I contadini della Coldiretti, i contadini della Confederazione Agricoltori Italiani hanno dissentito nelle parole e nei toni da urbanisti, sociologi, antropologi, architetti pasoliniani, ecoaltermondialisti, che rilanciavano una idea di contadinanza antica e moderna per salvare il pianeta. Che rifiutavano la nozione di agricoltore e di imprenditore agricolo, mentre quelli delle associazioni hanno appena imparato ad usarle e non vogliono salvare il mondo ma il loro reddito di fine mese. Il rappresentante della Confagricoltura ha proprio litigato con gli studiosi che a loro volta gli hanno dato dell’ignaro distruttore della terra. Ma io credo che hanno discusso in casa, perché già aver portato la discussione su questo terreno è averla sottratta ai temi delle città e dell’industria e alle idee correnti di sviluppo. Litigare è l’inizio del dialogo. I musei sono il giusto luogo per farlo sviluppare. Quando si fanno delle etnografie sulle attività contadine di oggi, si può vederne le ideologie, la validità o retorica della memoria, discutere su cosa è meglio, ma non ci si arrocca in una dialettica sbagliata tra documentazione del passato e teorie sul futuro. Si parte dal nesso che il presente costruisce con il futuro intorno a saperi passati come epoca ma presenti come know how che il nostro lavoro minuto, il nostro gusto dei dettagli, rivela preziosi per il futuro, ponti perché delle differenze culturali non tacciano per sempre. Ho avuto la sensazione che questi temi siano centrali nella nostra storia di museali italianisti (che non è la storia di tutti ovviamente in Simbdea) nati dai musei contadini volti al passato, e che ci possa aiutare a far rivivere i musei contadini di oggi in grandi progetti futuri, aperti alle tecnologie, ai depositi informatici, alle mappe minute (cognitive e con l’uso dei GPS) in un progetto di società. Come presidi conoscitivi e postazioni di lancio verso gli altri contemporanei (altre associazioni, altri soggetti come i migranti, altri sponsor come le aziende che producono qualitativamente,) e verso gli altri futuri (nipoti, scuole, immaginazioni di civiltà interpretazioni degli scenari mondiali ecc.). Dobbiamo fare uno sforzo per elaborare meglio questi temi come nodi del futuro. Nello scenario di una giovane SIMBDEA c’è un futuro contadino.
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