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ASSASSINO” DI PIAZZALE LOTTO - Misteri d'Italia

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alcuna intenzione di cercare impossibili prove. Io avevo inventato piazza Stuparich.<br />

Loro - l'ho scoperto più tardi - avevano scritto a verbale «nei pressi dell'ospedale<br />

militare», che è lontanissimo da piazza Stuparich, ma che, nell'ansia di incastrarmi,<br />

forse sembrava un riferimento più logico, perché, in quei giorni, andavo e venivo da<br />

Baggio. Un convalescente in divisa dove può disfarsi dell'arma con cui ha appena<br />

commesso un delitto? Secondo i carabinieri è ovvio: «nei pressi dell'ospedale<br />

militare». Piazza Stuparich, Baggio, e loro mi chiedono: «Dov'è la pistola?»,<br />

all'altezza di corso Magenta o un po' più in giù. Ecco la dimostrazione che di<br />

recuperare l'arma non gliene fregava nulla, perché la sapevano inesistente. In fondo, il<br />

fatto di non trovarla rendeva più reale la faccenda della pistola e più proponibile<br />

Pasquale Virgilio come assassino.<br />

Sono qui dentro da settecentosettantatré giorni. Mi ci hanno portato, verso le sei di<br />

sera di quel 25 marzo 1967. L'interrogatorio era finito da un'oretta: giusto il tempo di<br />

mandare a prendere una bottiglia di acqua borica per gli impacchi, di rimettermi un<br />

po' in sesto, di rendermi presentabile. Quando uno entra a San Vittore, passa una<br />

visita medica. Di solito, la sera stessa dell'immatricolazione. Io ho visto il medico<br />

quindici giorni dopo. Uno strano disguido burocratico, una singolare dimenticanza: in<br />

due settimane, addio tracce del «massaggio».<br />

Non era il mio debutto a San Vittore. L'ho detto: meno che l'omicidio e il tradimento,<br />

tutto e stato mestiere mio. Di via Filangieri, perciò, ho una lunga esperienza. La<br />

prima volta, avevo poco più di diciotto anni. Ero in fuga dal riformatorio (una delle<br />

tante) e mi arrangiavo. Non ero più uno sbarbatello. Frequentavo i posti «giusti»:<br />

certi bar fra via Torino e piazza Vetra, dove, al biliardo o ai flipper, si possono<br />

combinare buoni «affari». Facevo qualche lavoretto da poco, quel tanto per campare<br />

e, di notte, godermela al night Carminati, proprio di faccia al Duomo. Non dormivo a<br />

casa dei miei. Una notte qua, una notte là. Quasi sempre nel letto di qualche «mina»,<br />

di qualche ragazza di vita. Non disdegnavano la mia compagnia. Anzi, ce n'erano di<br />

quelle che mi proponevano di diventare il loro «pappa». Ma a me non è mai piaciuto<br />

fare il macrò. Meglio un buon furto che mettersi in tasca la «ricotta», la percentuale<br />

sulle marchette. Certo, è rischioso. Prima o poi ci si lasciano le penne. A me è sempre<br />

capitato prima. Non ho mai avuto una gran fortuna.<br />

Fu un furto ad aprirmi le porte di San Vittore, per il mio battesimo carcerario. Due<br />

balordoni più vecchi di me mi prospettarono una battuta notturna. Accettai.<br />

«Filarono» parecchi negozi e, alla fine, si decisero per una pellicceria in piazzale<br />

Loreto. Ero magro, agile. Per questo, avevo il compito di entrare, non appena loro<br />

avessero aperto il varco nella saracinesca a maglie e scardinato la serratura.<br />

Lavorarono di crick. Pochi minuti e toccò al sottoscritto. Mi diedero le istruzioni.<br />

Dovevo prelevare e scaricare sulla porta tutto ciò che trovavo di peloso. Mi venne il<br />

fiatone a forza di fare la spola dagli armadi all'ingresso. Come appoggiavo la «roba»<br />

al di là del buco, spariva. Un perfetto automatismo. Ma ben presto, mi accorsi che la<br />

mercé cominciava ad ammucchiarsi. Pensai che i miei soci non riuscissero più a<br />

tenere il mio ritmo. E continuai. Ma la pila aumentava. Che cosa stava succedendo?<br />

Sporsi la testa dalla breccia della saracinesca e, all'istante, sentii due corpi gelidi sul<br />

collo. Erano canne di pistola. I miei compari s'erano involati. Al loro posto, c'erano

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