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ASSASSINO” DI PIAZZALE LOTTO - Misteri d'Italia

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Beretta. Mi pare di essere stato presente. Comunque è certo che era stato deciso di<br />

dargli l'arma. Fu il Nardi, poi, a dirmi che Roberto Rapetti era l'autore della rapina al<br />

benzinaio di piazzale Lotto».<br />

«Si rende conto», lo ammonisce il presidente, «che sta accusando Rapetti di un reato<br />

gravissimo? Che, se l'accusa risulta infondata, lei si rende responsabile di calunnia?».<br />

«Certo, signor presidente, me ne rendo perfettamente conto. Ma insisto. Ho sentito<br />

parlare di rapine. Il Rapetti teneva banco. A me pareva un delinquente abituale. Poi,<br />

Nardi mi ha detto che Roberto aveva ucciso il benzinaio».<br />

Roberto Rapetti scuote il capo, come a dire «questo da i numeri». Non si difende, con<br />

sdegnalo accanimento. È la stessa tattica adottata da Nardi ed Esposti nella terza<br />

udienza, quando sono riusciti ad adombrare di follia la deposizione e la personalità di<br />

Dal Buono. Questa volta, invece, Gianni Nardi, che sale al pretorio, insieme all'amico<br />

Esposti, per una lunga serie di confronti, parte a lancia in resta. Controbatte le accuse<br />

di Marcello sempre sul tema dell'instabilità psichica. Ma lo fa con una tale veemenza<br />

e un tale tono di sprezzante sufficienza che il presidente è costretto a ricordargli il<br />

rispetto dovuto alla corte.<br />

«Marcello è matto», dice, «matto di sicuro. Lui e il Rapetti si saranno anche visti a<br />

casa mia, ma al massimo una volta e per caso. Afferma che progettavamo rapine. Ma<br />

perché? Non avevamo bisogno di soldi».<br />

Giancarlo Esposti si tiene sulla falsariga del Nardi, ma con meno irruenza. Nega<br />

assolutamente di aver procurato una pistola a Roberto, nega i discorsi sulle rapine e<br />

parla soprattutto di farneticamenti. Ma i molteplici confronti non sono del tutto<br />

inutili. Niente di speciale. Solo qualche piccola crepa che si apre nel muro difensivo<br />

del gruppetto, qualche discordanza che viene a galla. C'è, poi, un clima nuovo.<br />

Marcello Dal Buono non si sente addosso un pesante alone di scetticismo, come<br />

capitò al suo debutto in aula. Avverto un'inedita disponibilità all'ascolto da parte del<br />

tribunale.<br />

Quando arriva il turno delle domande di parte, la mia difesa e i rappresentanti della<br />

famiglia Prezzavento si alleano nel tentativo di agganciare qualcuno dei tre<br />

giovanotti, chiamati in causa dal Dal Buono, al «fatto Pisapia». L'intenzione è quella<br />

di sapere se uno dei tre o qualche loro familiare abbia avvicinato, direttamente o<br />

attraverso un altro avvocato, il professor Pisapia. Ne salterebbe fuori un indizio<br />

indiretto, per identificare il colpevole o il depositario della verità che è parsa tanto<br />

lampante a Pisapia e che lo ha indotto a presentarsi alla corte per scagionarmi.<br />

Nardi e Giancarlo Esposti vengono separatamente bersagliati di domande: «Dopo<br />

avere saputo ciò che Dal Buono avrebbe detto in aula e che era stato anticipato dai<br />

giornali, vi siete consultati? Vi siete rivolti a un legale?». Esposti nicchia, cerca di<br />

restare nel vago. Poi ammette di essersi incontrato, insieme al padre, con l'avvocato<br />

Fabio Dean in casa Nardi.<br />

Dal canto suo, Gianni Nardi non smentisce l'incontro: «Dopo la mia precedente<br />

deposizione e dopo essere stato convocato per l'udienza di oggi, mi sono consultato<br />

con il professor Fabio Dean, assistente di diritto penale all'università di Perugia. In<br />

questi giorni, il professore è stato a Milano. Per caso, è venuto a casa mia. Gli ho<br />

detto che un pazzo affermava che io ero a conoscenza del delitto e che il responsabile

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