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ASSASSINO” DI PIAZZALE LOTTO - Misteri d'Italia

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dire. Si sta cercando un capro espiatorio. Ecco tutto. Io non ne so niente». Si da<br />

lettura della deposizione resa da Mario Botticini, la presunta vittima, in sede di<br />

ricognizione di persona. «Mi ha riconosciuto», ribatto. «E allora? Io non ho cercato di<br />

rapinare questo signore. A quell'ora, non ero in via Conservatorio. Mi trovavo da Sax<br />

in corso Europa».<br />

È l'una passata. L'udienza viene sospesa e aggiornata al pomeriggio. Mi portano in<br />

una cella di sicurezza, nei sotterranei del «Palazzaccio». Qualche panino. Alle tre si<br />

riprende. Ancora sotto il torchio. Domande sulla mia vita passata: casa di<br />

rieducazione, riformatorio, furti, condanne. Il logorante botta e risposta si chiude, poi,<br />

con un improvviso ritorno al tema del mio guardaroba. Confermo il possesso di un<br />

paio di calzoni fumo di Londra e specifico che il mio maglione è colore caffellatte<br />

chiaro. Sembra che al presidente non vada a genio la storia della tinta. Me ne ritorno<br />

al banco. Non è andata malaccio. Non so se sono riuscito a insinuare almeno qualche<br />

dubbio sulla spontaneità della confessione e a rendere credibile, giustificata, la<br />

ritrattazione. Forse ho vuotato il sacco troppo tardi. Dovevo farlo in istruttoria. Ma<br />

avevo troppa paura. La stessa paura che mi ha impedito di raccontare al tribunale tutti<br />

i particolari di quelle quattro ore nello stanzino sotterraneo. Comunque mi sono<br />

difeso. Non ho perso lucidità e mi pare di avere retto al fuoco di fila delle<br />

contestazioni. Si vedrà.<br />

Si apre la sfilata dei testimoni. Il primario dell'ospedale psichiatrico di Udine, Luigi<br />

Mezzino, depone sullo stato delle mie rotelle all'epoca in cui, soldato semplice a<br />

Trieste, fui ricoverato per crisi nervosa. «Il Virgilio», dice, «fu mandato da noi con<br />

una diagnosi di agitazione psicomotoria. Riscontrammo soltanto un breve<br />

turbamento. Succede spesso, durante la vita militare. Insomma, regresso di reattività e<br />

insofferenza». Luigi De Luca, che lavorava all'ospedale militare di Udine, conferma.<br />

Se fossi colpevole, questi due interventi mi renderebbero nero. Non portano mattoni<br />

alla tesi della seminfermità mentale, della «radice psicopatica» che il perito d'ufficio,<br />

analizzando il Pasquale Virgilio inventato omicida dai carabinieri, ha visto affiorare<br />

dalla mia personalità e dalla dinamica del delitto. Sarebbe una brutta botta, se fossi<br />

colpevole e sperassi nella seminfermità, per cavarmela con qualche annetto di meno.<br />

Ma sono innocente e mi funziona che i medici di Udine abbiano ridimensionato il<br />

mio «dar fuori di matto» al reggimento. Ero contrario alla perizia psichiatrica e<br />

continuo ad esserlo. Passare per pazzo non mi va bene. Sono pulito, innocente e<br />

basta. Gabole non ne voglio.<br />

L'usciere chiama in aula il colonnello Francesco Paolo Bello. Non lo rivedo con<br />

piacere. Giura e riversa sul tribunale la sua verità. Si è parlato di maltrattamenti. E ci<br />

tiene a sottolineare: «Il mio intervento nelle indagini è avvenuto quando il Virgilio<br />

aveva già spontaneamente confessato. Comunque, prendo su di me ogni<br />

responsabilità circa il comportamento del reparto. Nessuno usò violenza neppure<br />

psicologica nei confronti dell'imputato». Non ci vedo più. Mi sporgo dal banco e gli<br />

urlo: «Ma se ne avevo addosso dodici e mi hanno fatto svenire». Lui si rifa al<br />

calendario per smentirmi: «È impossibile. Signor presidente, era la vigilia di<br />

Pasqua!» Vorrei rispondergli che ne prenderò nota. Alla vigilia di Pasqua c'è<br />

franchigia per la malavita: la «Benemerita», pur restando «nei secoli fedele», se ne va

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