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ASSASSINO” DI PIAZZALE LOTTO - Misteri d'Italia

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in vacanza. Ma ci pensa l'avvocato Ezio Maria Valle a far rilevare l'assurdità. Si è<br />

parlato di confessione imboccata, costruita. Francesco Paolo Bello tiene a precisare:<br />

«Non conoscevo nulla della storia e non potevo quindi suggerire alcuna risposta». È<br />

ancora Valle ad alzarsi, per stuzzicarlo: «Non aveva letto neppure i giornali?» La<br />

domanda fa da miccia a un serrato battibecco che tocca anche una materia scottante:<br />

il riconoscimento da parte di Italo Rovelli. «Quando il testimone oculare», ricordano i<br />

miei avvocati, «si presentò al confronto, conosceva già le sembianze del Virgilio.<br />

Aveva visto due foto in questura, durante le prime battute delle indagini poche ore<br />

dopo il delitto». Il colonnello Bello sembra cadere dalle nuvole. Afferma di non<br />

esserne stato a conoscenza. Il che è piuttosto grave per un detective della sua portata<br />

e con la sua capacità di dedurre tutto dal nulla. È un piccolo punto al nostro attivo.<br />

Anche perché la circostanza non è stata registrata nel verbale della «ricognizione di<br />

persona». Esce di scena il «grande inquisitore» ed è la volta di Fortunata Vasapollo,<br />

mia madre. Quanto pagherei per non vederla qui. Tanto la sua testimonianza non<br />

servirà a nulla. Mi viene il magone. Povero straccio di donna che tira fuori le unghie,<br />

che implora. «Signor presidente», dice, con il pianto in gola, «quella sera, il mio Lino<br />

era in casa. Si è ritirato alle diciannove e trenta e non è più uscito. L'ho visto che<br />

dormiva nella branda in corridoio, quando mi sono coricata. E dormiva alle otto del<br />

mattino dopo, quando mi sono alzata per andare al lavoro. Credetemi, mio figlio è<br />

innocente. Non dovete condannarlo». La sua deposizione è una pura formalità.<br />

Nessuno le muove contestazioni. Nessuno le rinfaccia le contraddizioni dei suoi primi<br />

interrogatori. Ma nessuno la prende sul serio. La madre di un imputato è<br />

inattendibile. La congedano. Mi passa quasi accanto. Si morde le labbra per non<br />

piangere.<br />

Adesso salgono al pretorio Santa Fichera e il figlio maggiore Vincenzo. Ora so che<br />

cos'è il sollievo dell'innocenza. Al cospetto dei carabinieri, di Francesco Paolo Bello,<br />

di Pasquale Carcasio, di Giorgio Berardi e di questi signori in toga, la mia innocenza<br />

non mi ha mai dato gioia, fierezza. Capivo e capisco che non ha alcun peso specifico<br />

nelle loro carte. Di fronte al lutto, allo smarrimento di Santa e Vincenzo Prezzavento,<br />

sì la mia innocenza è qualcosa di consolante, perché in lei vedo mia madre e nella<br />

loro storia di povertà, di emigrazione lo stesso travaglio antico della mia famiglia.<br />

Non imprecano, non mi guardano in cagnesco. «Desideriamo solo che sia fatta<br />

giustizia», mormorano, e se ne vanno. L'udienza è sospesa. Riprenderà domani.<br />

Venerdì 9 maggio. Seconda udienza. Questa notte mi sono imposto di dormire. A che<br />

vale ormai ruminare. L'importante è scaricare la tensione. Ieri sono tornato a San<br />

Vittore con la testa che mi scoppiava. Non devo perdere concentrazione. Se no, la<br />

macchina mi stritola. Entra la corte. Dovrebbe continuare l'ascolto dei testimoni.<br />

Invece, il presidente mi chiama al pretorio per un'altra strizzatina. Ha una cert'aria di<br />

distanza che mi gela. Riprende da capo il mio interrogatorio. Forse spera che mi<br />

contraddica. Non torna sul tema delle «calcate», dei maltrattamenti che<br />

evidentemente non lo interessa. Va quasi alla ricerca dei punti che gli sembrano più<br />

vulnerabili. Ecco, il particolare del maglione è quello adatto per prendermi in<br />

castagna e dimostrare alla giuria la mia non credibilità. Almeno lui lo pensa e batte,

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