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ASSASSINO” DI PIAZZALE LOTTO - Misteri d'Italia

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sottolineata sui fogli protocollo di quello stesso verbale: «...nel corso<br />

dell'interrogatorio non sono stato toccato».<br />

I carabinieri volevano un tale attestato e glielo avevo dato. E non per generosità.<br />

Avevo paura.<br />

Il timore di una denuncia per calunnia mi aveva già vietato qualsiasi sfogo di fronte al<br />

magistrato. Figurarsi ora che mi vedevo tornare fra i piedi proprio loro, i carabinieri.<br />

Del resto, sarebbe stato inutile raccontare i metodi di convincimento. Non si<br />

sarebbero inteneriti. Anzi.<br />

Sono innocente? Allora, fuori l'alibi! «Ci descriva particolareggiatamente», mi dice,<br />

«come ha trascorso sino a tarda ora la giornata del 9 febbraio. Quali persone ha visto<br />

in casa sua o fuori, quali erano le sue condizioni di salute». Ripeto, con qualche<br />

«rifinitura», ciò che ho già dettato al sostituto procuratore Enzo Costanzo: un caffè al<br />

bar del distributore verso le dieci di mattina; un po' di flipper; poi a casa per tutto il<br />

pomeriggio e la serata «perché non stavo bene e avevo la febbre»; a letto non più<br />

tardi di mezzanotte «quando se n'è andata la mia ragazza che era venuta verso le<br />

ventuno e quindici a farmi visita».<br />

Quella della malattia è un'idea fissa. Ma niente di più. Ha messo radici dentro ai miei<br />

pensieri, ma senza un concreto supporto. Forse mi ci avvinghio come il naufrago a un<br />

salvagente. E più lo faccio, più quest'impressione mi si gonfia in testa. Sono passati<br />

quaranta giorni. Come posso essere preciso? Loro, intanto, hanno già strizzato la<br />

memoria dei miei familiari e di Silvana, la mia ragazza. E subito fioccano le<br />

contestazioni: «Non è vero che il 9 febbraio era ammalato; non è vero che a<br />

mezzanotte si è coricato per dormire». Fanno leva su quanto hanno dichiarato mia<br />

madre, mia cugina Concetta e Silvana. Senza incertezze, tutte e tre ricordano che, il<br />

sabato grasso ambrosiano, l'ho passato a letto con trentotto di febbre.<br />

«Sabato sera, 11 febbraio», ha precisato Silvana, «mi recai a casa del Virgilio verso le<br />

ventuno e trenta e ne uscii verso le ventiquattro [...] Non escludo che Pasquale sia<br />

venuto a prendermi al lavoro giovedì o venerdì e mi abbia accompagnato a casa.<br />

Escludo, però, nel modo più assoluto di essere uscita con lui dopo cena e tanto meno<br />

di essermi recata giovedì o venerdì sera a casa sua».<br />

Sfuma così l'appiglio della malattia per la giornata del 9 febbraio. La sensazione era<br />

giusta, ma, nel datarla, l'ho anticipata di quarantotto ore. Quanto al fatto che non mi<br />

sarei mai coricato a mezzanotte, è una pura illazione degli inquirenti. Mia madre si è<br />

detta certa di avermi visto rientrare prima di quell'ora. Concetta, dal canto suo, ha<br />

dichiarato di non poter precisare l'ora in cui di solito rincasavo, perché, dovendosi<br />

alzare presto, ha l'abitudine di andarsene a letto al buonanotte televisivo.<br />

Non mi rimane che prendere atto delle contestazioni. «Non ricordo se sono uscito»,<br />

dico. «Non riesco a mettere i pensieri assieme. Altrimenti vi avrei dato tutti i<br />

particolari». Devo riprendere le fila da zero. Ma almeno posso scavare nella memoria,<br />

partendo da un dato preciso: l'influenza dell'undici febbraio e la visita, quella sera, di<br />

Silvana. È la prima tessera inconfutabile di un mosaico tutto vuoto. Se voglio<br />

cavarmela, è necessario che lo riempia. Questo riferimento può essere essenziale.<br />

Adesso si tratta di usarlo come «sonda» nell'uniforme territorio del mio passato

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