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ASSASSINO” DI PIAZZALE LOTTO - Misteri d'Italia

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possedevo lire cinquecento che ho speso per andare al cinema. Uscendo dal cinema,<br />

ho girovagato per la città percorrendo il corso Buenos Aires, la stazione centrale, un<br />

pezzo della circonvallazione ove stanco mi sono fermato per una mezz'oretta. Ho<br />

quindi ripreso a girovagare senza una meta precisa, pensando al sistema come<br />

procurarmi qualche soldo per trascorrere il carnevale. Sono giunto nei pressi di<br />

piazzale Lotto verso le ore ventitré e trenta del 9 febbraio 1967 ed anche a quest'ora<br />

non avevo un preciso indirizzo di come e dove procurarmi il denaro che mi<br />

occorreva. Successivamente, transitando, sempre a piedi, nei pressi del distributore,<br />

avendo notato che l'assenza di persona mi avrebbe consentito di racimolare<br />

finalmente del denaro, mi sono avvicinato e sono entrato nello sgabuzzino. Ho sfilato<br />

la pistola dalla borsa per intimidire eventuali persone che si fossero presentate. I fatti<br />

avvenuti nell'interno dello sgabuzzino sono quelli che ho già descritto nel precedente<br />

verbale d'interrogatorio».<br />

I due verbali sono controfirmati a margine e in calce. Le firme sono mie, senz'ombra<br />

di dubbio. E lo ammetto. Ma, oltre alle firme, c'è ben poco di mio nella confessione:<br />

qualche frase che, staccata dal contesto, è innocua, ma che, inserita nel romanzo e<br />

commentata dalla fantasia dei carabinieri, acquista un terribile significato. Tutto era<br />

stato inventato, manipolato, sceneggiato sulla falsariga dei particolari (borsa, calibro<br />

della pistola, movimenti dell'omicida, posizione del cadavere di Innocenzo<br />

Prezzavento) emersi nel corso delle indagini e dalla testimonianza di Italo Rovelli. Mi<br />

sembrava d'impazzire.<br />

«Non è roba mia», dico. «Non ho dettato questi verbali. Io non ho mai ucciso».<br />

Il magistrato mi lascia sfogare, non perde la calma: «Se lei riconosce la firma, come<br />

spiega di trovarla in calce a una confessione che non ha reso?» Potrei raccontargli le<br />

quattro ore di «Sant’Antonio», tutte le «calcate» dei «grippa».<br />

Ma sono atterrito. Ho paura che mi attacchino anche una denuncia per calunnia. Loro<br />

hanno sempre il coltello dalla parte del manico. Ingoio la rabbia, la voglia di gridargli<br />

in faccia tutto quanto.<br />

«Forse ho firmato perché non ero in me. Non capivo più niente. Ma è inutile parlarne.<br />

Tanto non mi crederebbe. So soltanto che non è roba mia. Io sono innocente»: questa<br />

è la mia unica difesa.<br />

«Può provarlo?» ribatte.<br />

Le prove me le sento nelle ossa, sulle gengive, nei piedi. Potrei fargli vedere le tracce<br />

di sangue sulla camicia. No, sono un pregiudicato. Corro troppi rischi. Riuscirebbero<br />

a dimostrare che sono ruzzolato dalle scale. Meglio lasciar stare, anche se così non ho<br />

molto spazio di manovra e posso soltanto smentire a parole la loro confessione.<br />

Il sostituto procuratore scrive a verbale: «In ordine al delitto, debbo precisare che non<br />

sono stato io a commetterlo. Non è vero che ho acquistato in Trieste una pistola<br />

calibro 7,65. Non ho mai avuto pistole. Non ho mai avuto una borsa di finta pelle<br />

color marrone scuro con chiusura lampo, uno scompartimento e senza manici. Non<br />

sono mai stato nel distributore di benzina, adiacente al bar da me frequentato, e<br />

pertanto la descrizione dell'interno io non l'ho fatta nella deposizione resa ai<br />

carabinieri. Sono a conoscenza dei fatti relativi al delitto, perché il mattino dopo mi

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