ASSASSINO” DI PIAZZALE LOTTO - Misteri d'Italia
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codice penale». Spiegano, però, che quest'ultima eventualità è estremamente remota,<br />
data la stima di cui gode Gian Domenico Pisapia e l'autorità morale del personaggio.<br />
Quale sarà il risultato della sua deposizione? Questa è la domanda che più mi preme.<br />
Insomma, servirà a qualcosa, mi strapperà a questo mare di merda quella che gli<br />
esperti definiscono la «mini-verità» del professore? Qui cominciano le perplessità. Su<br />
un fatto tutti concordano: Pisapia cercherà di infondere nella corte una convinzione<br />
morale di verità. «Ma», afferma l'avvocato Alberto Dall'Ora, «il risultato obiettivo di<br />
queste nobili e generose intenzioni sarà, per forza di co<br />
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se, un poco ridotto. Si avrà, in sostanza, probabilmente un indizio a favore<br />
dell'imputato: indizio liberamente apprezzabile dalla corte, insieme con gli altri indizi<br />
o prove che siano. La corte non può affidarsi, a corpo morto, a questa singolare<br />
testimonianza e poggiarvi sopra il fondamento della sua decisione. Non avendo alcun<br />
elemento di ragguaglio, di accertamento, di comparazione, non può sostituire al suo<br />
giudizio quello dell'avvocato Pisapia, per quanto noto e stimato egli sia. Potrebbero<br />
quelle confidenze essere false o comunque non attendibili. Il giudice non ha modo di<br />
valutarle direttamente, ne riceve soltanto una valutazione mediata dal teste-avvocato,<br />
senza alcuna possibilità di proprio controllo. Sarebbe, d'altra parte, pericoloso<br />
ammettere che abbiano importanza di prova dichiarazioni di questo tipo: potrebbe<br />
diventare una prassi certamente non accettabile».<br />
Insomma un ginepraio. Una cosa la capisco. Se avesse telegrafato un cittadino<br />
qualsiasi, offrendo la sua parola contro un errore giudiziario, la corte sarebbe già in<br />
camera di consiglio a parlare di ergastolo con la generosa concessione della<br />
seminfermità mentale. Invece, è Gian Domenico Pisapia, un professorone, a buttare<br />
sul piatto della giustizia la sua parola d'onore, il suo giuramento, la sua convinzione.<br />
E allora il processo è stato aggiornato, per permettergli di portare in aula la sua<br />
«mini-verità». Il mio colpo di fortuna ha due facce: la coscienza civile e morale di un<br />
signore che poteva infischiarsene; la discriminazione sociale che alla voce di Gian<br />
Domenico Pisapia da peso e alla voce di un cittadino qualsiasi no o comunque assai<br />
meno. Forse dalla «mini-verità» di Pisapia nascerà il dubbio che dalla totale verità di<br />
Marcello Dal Buono non hanno voluto germogliasse.<br />
Un dubbio: è già molto, dopo due anni, una istruttoria e tre quarti di processo<br />
all'insegna della più testarda certezza.<br />
Venerdì 16 maggio. Sesta udienza. L'aula è gremita. Si vede che lo «spettacolo»<br />
riprende quota. Il finale non è più così scontato, così prevedibile. La gente aspetta il<br />
colpo di scena alla Perry Mason. Entra la corte. E fa la sua comparsa al banco dei<br />
testimoni Gian Domenico Pisapia. Comunque vada, vorrei capisse che so di dovergli<br />
qualcosa per cui le parole di gratitudine non hanno senso, proprio sono inutili.<br />
«Professore, lei conferma di avere inviato un telegramma alla corte?» esordisce il<br />
presidente.<br />
«Sì, da Roma. Ero fuori Milano da domenica. Ho preso un aereo per Catania. Alle<br />
quattordici e trenta, sono partito per Caltanissetta. Ho avuto un'udienza al tribunale di<br />
Caltanissetta, il giorno 12. Il 13 (e consulta un suo taccuino) sono partito per<br />
Palermo. Sono arrivato alle quattro e ripartito alle diciannove e dieci per Roma. Ho