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ASSASSINO” DI PIAZZALE LOTTO - Misteri d'Italia

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La corte rientra che è già sera. Respinge la proposta del pubblico ministero e accoglie<br />

parzialmente quelle avanzate dalla parte civile e dalla difesa. Delibera, infatti, di far<br />

tradurre Roberto Rapetti in aula dalle carceri di Forlì, di citare i commissari Reale e<br />

Barone, di richiamare Dal Buono, Nardi e Giancarlo Esposti. Il contenuto della<br />

delibera è identico, in pratica, a quello dell'istanza presentata da Bovio e Cillario, alla<br />

fine della quarta udienza, e rifiutata in blocco dalla corte. È singolare: testimoni<br />

ritenuti, tre giorni fa, inattendibili o inutili diventano d'improvviso più credibili e<br />

necessari al dibattito. Pisapia non mi ha tolto le manette. Non sono salvo. Ma, dopo la<br />

sua deposizione, è tornata in aula l'umiltà del dubbio. Il processo viene aggiornato al<br />

prossimo giovedì. Si ricomincia da capo.<br />

Giovedì 22 maggio. Settima udienza. È passata quasi una settimana dalla «bomba<br />

Pisapia» che non ha fatto cilecca e può provocare, per reazione, una serie di scoppi a<br />

catena. Oggi può esplodere la «bomba Dal Buono», al cui potenziale la corte, il<br />

pubblico ministero e la parte civile non hanno dato alcun credito. Hanno chiamato a<br />

disinnescarla uno psichiatra. Oggi la recuperano per verificare i meccanismi. Che si<br />

riparli della pista Rapetti e che, per la prima volta, la si batta è uno dei «miracoli-<br />

Pisapia».<br />

Roberto Rapetti è detenuto e l'hanno sistemato accanto a me, nel banco degli<br />

imputati. Era nel cellulare, perché questa notte ha dormito a San Vittore. Ma non<br />

sapevo che fosse lui. Non ci siamo rivolti la parola. E, neppure ora, lo facciamo. Ma<br />

gli offro una sigaretta. Per ora non ho diritto di giudicare. Del resto lui non mi da<br />

sulla pelle, come Nardi e l'Esposti con quella loro aria di signorini strafottenti. Lui<br />

non ha la sicurezza del denaro. Si vede, è un poveraccio.<br />

Fisicamente, non mi somiglia. È alto una buona spanna di più. Ha le spalle strette. La<br />

faccia non ha i lineamenti tozzi, da boxeur, come la mia o come quella di Gianni<br />

Nardi che obiettivamente mi assomiglia assai di più. È più affilata. Io ho una bocca<br />

sagomata. Lui è quasi senza labbra. Dai miei occhi ai suoi c'è un abisso: lui li ha a<br />

mandorla, con sopracciglia sfuggenti verso l'alto. Di faccia, non ricorda neppure la<br />

descrizione dell'omicida fatta da Rovelli. Ha gli occhi nero-marrone e il testimone<br />

oculare ha sempre sottolineato «occhi chiari». I capelli sono castano scuro, quasi sul<br />

nero, e Rovelli ha parlato di biondino. Il ciuffo può essere quello che ha acceso la<br />

pignoleria descrittiva di Rovelli: è un rigonfio, un'onda come s'usava anni fa. Anche<br />

l'altezza, la figura e le spalle possono corrispondere al racconto di Rovelli.<br />

L'udienza si apre, appunto, con la chiamata di Roberto detto il «parà». Il presidente<br />

comincia di sponda, dall'episodio per cui è stato condannato dalla corte d'assise di<br />

Forlì: tentato omicidio. Racconta di un banale incidente, di una pallottola finita per<br />

caso in corpo a Lorenzo Sangiovanni, mentre, il 9 aprile 1967, viaggiavano<br />

sull'autostrada del Sole diretti a Grottammare. L'accusa ha individuato come movente<br />

un regolamento dei conti, ma lui insiste sul colpo accidentale. Rapetti spiega di essere<br />

stato ricoverato più volte in case di cura per malattie nervose. Poi si entra in<br />

argomento.<br />

«Lei conosce Marcello Dal Buono e Gianni Nardi?».

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