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ASSASSINO” DI PIAZZALE LOTTO - Misteri d'Italia

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segreto professionale diventa operante nel momento in cui io divento testimone, non<br />

prima. Prima ero, soltanto, un cittadino che riferiva al presidente della corte».<br />

Si alza il pubblico ministero: «Vorrei che il testimone precisasse come e perché e<br />

quando si determinò a fare le sue dichiarazioni».<br />

«Se questo può servire ad andare incontro alla domanda, posso dire che, all'inizio del<br />

processo, il problema non era ancora sorto. Mi sono deciso a fare le mie dichiarazioni<br />

quando, alla lettura di qualche giornale, ho avuto la sensazione che il processo si<br />

avviasse alla conclusione. Mentre io, nel frattempo, avevo avuto la possibilità di<br />

compiere riscontri che portavano alla conclusione di estraneità completa dell'attuale<br />

imputato».<br />

«Lei sa, professore», chiede il presidente, «che il testimone oculare ha confermato in<br />

aula e senz'ombra di dubbio il riconoscimento di Pasquale Virgilio?».<br />

«Quando ho letto di quel riconoscimento, sono rimasto sbigottito. Mi sono<br />

determinato a parlare quando, in coscienza, mi sono accorto che il processo andava<br />

male per l'attuale imputato. Questa riflessione nasceva dalla mia esperienza<br />

professionale. Aggiungo che, così, rispondo, in quanto mi è stata posta una domanda.<br />

Altrimenti è un giudizio che non mi sarei mai permesso di formulare».<br />

Interviene Lucio Rubini, avvocato di parte civile: «II professor Pisapia ha dichiarato<br />

di essere stato interpellato da una certa persona, anche per un eventuale patrocinio.<br />

Poiché, in quest'aula, si sono profilate alcune possibili responsabilità al di là<br />

dell'attuale imputato, chiedo al professore se ha avuto contatti con il teste Marcello<br />

Dal Buono o con qualcuno dei suoi familiari».<br />

«Alla domanda così com'è stata posta non posso rispondere. Però, posso dire che non<br />

conosco la famiglia Dal Buono. Devo, comunque, ripetere che non risponderò a<br />

domande che investano o comunque sfiorino il segreto professionale».<br />

«L'eventuale patrocinio, che le è stato chiesto, ha attinenza con la persona di Gianni<br />

Nardi?».<br />

«Lei cerca di trascinarmi oltre i limiti per me invalicabili del segreto professionale.<br />

L'ho già detto: non posso rispondere».<br />

Su quest'ultima trappola, che tende a strappare al testimone volontario elementi per<br />

identificare indirettamente «quella certa persona», e sulla categorica risposta del<br />

professore, si chiude la deposizione. La corte si ritira in camera di consiglio. Deve<br />

stabilire se Gian Domenico Pisapia si è avvalso legittimamente del diritto di attenersi<br />

al segreto professionale. In caso contrario, può decidere di sciogliere d'autorità il<br />

vincolo, chiedere al teste «tutta la verità» e, se reticente, farlo anche arrestare. La<br />

corte, poco dopo, rientra. Ha deliberato che il trincerarsi del teste dietro il segreto<br />

professionale è legittimo.<br />

Pisapia esce definitivamente di scena. Ma la sua «mini-verità» resta, come una<br />

pesante cappa, sul processo. Ha spaccato la crosta di certezze che costituivano ormai<br />

la pietra tombale della mia innocenza.<br />

Non occorre essere uomini di legge per capirlo. Al momento delle istanze, ecco<br />

l'avvocato Rubini che volta la frittata. Come rappresentante della famiglia<br />

Prezzavento, s'era opposto alla richiesta della mia difesa di citare Roberto Rapetti e di<br />

approfondire, così, la pista indicata da Marcello Dal Buono. La corte aveva accolto la

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