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ASSASSINO” DI PIAZZALE LOTTO - Misteri d'Italia

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«A poche ore dal delitto», attacca Ludovico Reale, «convocammo in questura il<br />

Rovelli. Questi, vedendo entrare nel mio ufficio il maresciallo Giannattasio, mi fece<br />

notare che, visto di spalle, assomigliava all'assassino come una goccia d'acqua,<br />

quanto ad altezza. Giannattasio è un pezzo d'uomo grande e grosso. Rovelli mi<br />

descrisse l'omicida così: alto un metro e ottanta, smilzo, con la scriminatura forse a<br />

sinistra, spalle strette, cappotto scuro di media lunghezza e borsa di pelle. Gli<br />

mostrammo le fotografie dell'ufficio segnaletico. Ma non riconobbe nessuno. Tra<br />

queste foto, c'erano anche quelle del Virgilio. Alcuni giorni dopo, in seguito a una<br />

segnalazione, tornammo a mostrargli le foto del Virgilio. Escluse che fosse lui<br />

l'assassino. Lo escluse in maniera assoluta. Quando seppi che il Rovelli aveva<br />

identificato, davanti ai carabinieri, il Virgilio, lo mandai a chiamare. Mi disse che,<br />

vedendolo di persona, l'aveva riconosciuto quasi certamente. Ripeto, Rovelli disse:<br />

quasi certamente. Io, per la verità, rimasi molto in dubbio».<br />

Segue a ruota Giuseppe Barone: «Dirigevo, a quel tempo, la sezione omicidi. Per un<br />

mese intero, Rovelli fu di casa nel mio ufficio. Sono sicuro che escluse due volte il<br />

Virgilio. Noi avevamo una segnalazione: l'attuale imputato girava allora con molti<br />

quattrini. La categoricità del testimonio oculare ci fece sospendere le indagini sul suo<br />

conto, in relazione al crimine di piazzale Lotto».<br />

Si alza l'avvocato Cillario: «Commissario, ricorda se allora il Rovelli soffriva di<br />

qualche malattia agli occhi?» La risposta è immediata: «Portava spesso il fazzoletto<br />

all'occhio sinistro. Disse che aveva un'infezione al canale lacrimale». Interviene il<br />

presidente: «Di tutte queste circostanze, non c'è traccia nei verbali. Sarà opportuno<br />

sentire, domani, il maresciallo Giannattasio. L'udienza è sospesa».<br />

La verità di Marcello Dal Buono grava, come una spada di Damocle, sull'aula. La<br />

spocchiosa verità di Italo Rovelli perde qualche colpo. Anche per oggi non c'è male.<br />

Venerdì 23 maggio. Ottava udienza. Era tanto comoda, rassicurante, l'infallibilità di<br />

Italo Rovelli. Non faceva pensare, alleggeriva le coscienze, copriva le falle<br />

dell'istruttoria. Perché dubitare di tanta perfezione, di un riconoscimento al cento per<br />

cento? In fondo era lui a staccare il mio biglietto di andata senza ritorno per<br />

l'ergastolo. Gli inquirenti me lo avevano preparato. Il tribunale lo avrebbe vidimato.<br />

Ma era lui, con la sua testimonianza senza sfumature d'incertezza, a ficcarmelo in<br />

mano. Così, nessuno si era preso la briga di toccare con mano l'attendibilità del teste.<br />

Ma arriva Pisapia. Il suo categorico «no» e il perentorio «sì» di Rovelli non possono<br />

coabitare. E, allora, il commerciante di fiori torna in ballo. Anche gli dei scendono<br />

dall'olimpo. Ieri, due nomi di cartello della polizia gli hanno dato una prima<br />

spintarella. Oggi ci si mette anche il pubblico ministero.<br />

Si apre l'udienza. È in programma, sempre sul tema del riconoscimento, la<br />

testimonianza del maresciallo Giannattasio. Ma prende la parola Antonio Scopelliti:<br />

«Chiedo si valuti l'opportunità di richiamare il Rovelli, per domandargli se sia vero o<br />

no che, intervistato dalla televisione subito dopo il delitto, dichiarò pubblicamente:<br />

non sarei in grado di riconoscere l'assassino, anche se lo rivedessi di persona». La<br />

corte valuta e aderisce. Italo Rovelli viene richiamato, ma solo in relazione<br />

all'intervista. Non sarà possibile porgli domande su altri argomenti.

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